«Io, il Bullo e il nostro funny team. E quel canestro dedicato a Caja»

Dominique Johnson si racconta: la tristezza dell’arrivo, la gioia del presente, la sua infanzia, i suoi sogni

A vederlo oggi, quando si mette in posa dopo aver fatto piovere nei canestri avversari, più che tre mesi sembrano passati tre anni. Quindici dicembre 2016, Galliate Lombardo, Fattoria “Il Gaggio”, presentazione ufficiale del nostro: fuori una nebbia che cancella addirittura il lago, dentro una tristezza da funerale del basket. Dominique abbozza un sorriso davanti ai flash, poi viene sommerso dalle domande “nere” dei cronisti: «Ma lo sai che sei arrivato in una squadra che continua a perdere?». E quel sorriso scompare, come il lago in una giornata di nebbia.

Riapparirà, eccome se apparirà. Dopo cinque vittorie consecutive all’attivo, un ruolino di marcia da capocannoniere e la primavera che bussa alle porte di Masnago. Storia di DJ, o Dom, o Nique: se volete farvelo amico non parlategli del suo recente passato («No, sull’Alba Berlino non vi dico nulla…»), né del suo prossimo futuro («Rimanere? Come faccio a dirlo ora?»). Basta il presente, basta un sorriso.

Il coach mi aveva detto nel time-out di pochi secondi prima che avevamo bisogno di un canestro e io mi sono concentrato per realizzarlo, per trovare quei due punti decisivi. Così mi sono girato e ho voluto dedicarglielo.

Buono, da lui sto imparando molto. Si complimenta quando faccio bene, ma allo stesso tempo mi corregge ed è puntuale nell’aiutarmi quando sbaglio. Io prendo tutti i suoi insegnamenti ed i suoi consigli nella maniera giusta, perché so che con lui posso solo migliorare.

Era proprio l’inizio, avevo tante cose in testa e stavo cercando di abituarmi ad una nuova città e ad un nuovo gruppo. È cosi quando arrivi: hai nuovi rapporti da instaurare e cerchi di trovare un feeling con tutto e tutti. Ora ogni cosa va a gonfie vele, davvero.

Sì, siamo un funny team, una squadra divertente. Ci sono tantissime personalità diverse e spesso non è semplice conciliare tutte queste differenze. Però vedo uno spogliatoio unito: tutti comunicano e stanno bene insieme, anche fuori dal campo. C’è una bella chimica anche quando usciamo dal palazzetto, e quando c’è un bel rapporto fuori dal parquet non puoi che trovarti bene anche dentro.

Direi Brescia, soprattutto perché dopo il blocco del cronometro loro sono rientrati, ci hanno recuperato diversi punti ed erano molto vicini quando mancavano due minuti al termine. Potevamo chiudere facilmente quella gara, però si è trasformata nella più difficile quando il tabellone si è fermato e li ha fatti rientrare.

La difesa è parte del mio gioco ed ogni gara disputata qui è una dura prova: non è semplice marcare le guardie avversarie. Cerco di metterci energia: nella partita casalinga contro Pesaro, ad esempio, sono riuscito a concludere una bella giocata difensiva, costringendo il mio avversario oltre i 24”. Mi ha motivato, mi ha caricato parecchio quell’azione.

Sono già passati tre mesi? Il tempo passa in fretta. Per ora molto bene. È stata dura all’inizio, ma mi trovo davvero molto bene.

Sto acquistando familiarità, mi sto abituando, anche per quanto riguarda il metro arbitrale. Sono “quello nuovo”, e devo tanto ringraziare Massimo Bulleri che mi aiuta ogni giorno e mi riempie di consigli. Il “Bullo” ha esperienza, mi dice «quello lo puoi fare, quello no», è come un mentore, è un coach in campo. Ha chiaramente più familiarità di me con il campionato e mi guida in ogni azione. Comunque mi piace la lega italiana, devo dire: è più veloce di altre.

Come detto, quello italiano è il campionato più veloce. Quello turco non si adatta propriamente alle mie caratteristiche, in Germania il gioco è un po’ più controllato mentre qui riesco a giocare al mio ritmo. Il più fisico è sicuramente quello polacco, in Israele – infine – mi è sembrato di essere come a casa…

Sono nato e cresciuto a Detroit, ma uscirne è stata una benedizione. Devo ringraziare mio padre che mi ha portato fuori dalla città, perché non so se sarei vivo in questo momento. Mi ha permesso di andare a scuola e di seguire la mia carriera. I posti che ho visitato lavorando sono incredibili, da piccolo mai avrei pensato che sarei andato all’estero a giocare a pallacanestro… Ora questa è la mia vita e non la cambierei mai.

Mi piacerebbe vincere dei campionati. I traguardi individuali sono belli, ma quelli di squadra hanno un sapore diverso. Ho vinto una coppa in Polonia, sono arrivato alle Final Four in Israele, tutte esperienze che inserisco nel libro dei ricordi. I record individuali si possono superare, cancellare, mentre un campionato che hai conquistato non te lo porta via nessuno. Sarebbe un sogno.

Me ne hanno parlato ma sinceramente non conosco di preciso la rivalità tra le due squadre. Però in questo momento, nella situazione che stiamo vivendo, ogni partita è importante, non solo quella con Cantù. Per quello che stiamo facendo ora ogni singolo match ha un suo significato. In ogni caso sono pronto e carico per affrontare il derby.

È presto per parlarne. Ci mancano sei partite di campionato, voglio concludere la stagione al massimo, dando il meglio e cercando di aiutare la squadra a vincere ed a migliorare la classifica attuale. Non sto pensando alla prossima stagione, non lo farò fino a luglio credo. Tornerò a casa e solo a quel punto mi concentrerò su ciò che potrà accadere l’anno prossimo.