«La cosa più bella? Vedere la felicità negli occhi di gente che trovai triste»

Fabio Gandini intervista Attilio Caja, artefice della salvezza della Openjobmetis Varese

Nessun riposo per il traghettatore della salvezza. Il lunedì di Attilio Caja, il day after dopo l’approdo aritmetico nella tranquillità, è iniziato alle 5 del mattino. Un aereo lo ha portato a Roma, dove lo attendevano due giorni di allenamenti con la nazionale sperimentale. L’uomo di mare non ci sta volentieri in porto.


Felicità: abbiamo raggiunto l’obiettivo e lo abbiamo fatto in breve tempo. Mi ricordo la delusione e l’abbacchiamento di quando sono arrivato: vedere quelle stesse persone contente ora non ha prezzo.


No, perché ha dimostrato ancora una volta di non meritare la posizione di classifica che occupa. Andava affrontata con attenzione, non c’era nulla di scontato.


Che la salvezza è una soddisfazione che ci meritiamo tutti: abbiamo fatto un ottimo lavoro di équipe, abbiamo spinto tanto ed eccoci in porto.


È l’ultimo ed è scontato che sia quello che rimane più impresso. Certamente lo considero uno dei risultati più importanti che ho ottenuto: non è mai facile, sebbene sia fonte di enorme soddisfazione, entrare e fare bene a stagione iniziata. Ma stilare una graduatoria è impossibile: è come chiedere a quale fratello vuoi più bene.


L’aver imparato ad essere aggressivi, come dimostrato nelle partite decisive contro Roma, Cremona e in quella di domenica, ma anche nella sconfitta di Milano. Un’aggressività che si è tradotta nell’abitudine a difendere e nell’attenzione ai particolari. Poi penso anche ai progressi compiuti in attacco: abbiamo messo in mostra un bel gioco in contropiede, esaltando le caratteristiche dei singoli, e fatto passi in avanti in quello a metà campo, imparando a passarci la palla e a coinvolgere tutti.