«La Grande Mela ha paura. Che ne sarà di noi stranieri?»

Qui New York. Alberto Gelmi, 33 anni di Solbiate Arno, e il voto in città

«In fondo tutti pensano all’America e pensano a New York. Ma New York non è gli Stati Uniti, è una bolla liberale che agli occhi del mondo dà sicuramente un’idea falsata del Paese». Parola di chi a New York ci vive da un anno e mezzo. Alberto Gelmi, 33 anni di Solbiate Arno, si trova nella Grande Mela dall’estate del 2015. Docente di lettere classiche, sta frequentando un dottorato in letterature comparate alla City University of New York dove pure insegna.

È proprio dai locali della facoltà che ci racconta via Skype di una città che si è risvegliata «sgomenta, attonita e spaventata». Sì, spaventata. «La gente è scossa perché gli è piombata addosso una batosta inattesa, gli stessi media come per esempio il New York Times oggi hanno chiesto scusa per non aver compreso quello che stava accadendo, per non essere riusciti ad evitare l’elezione di Trump». Una preoccupazione dilagante soprattutto in una città come la Grande Mela,

dove persone da tutto il mondo arrivano per lavorare, per cercare fortuna, per cambiare vita, per poter a loro volta diventare protagonisti di quel “sogno americano”. Anche il primo pensiero di Alberto è questo: «Chi come me è qui in America con un visto lavorativo, sebbene in regola, ovviamente non si sente più al sicuro – spiega – Non è pessimismo, è una presa di coscienza lucida basata su quello che il tycoon ha urlato dai palchi dei suoi comizi per un anno e mezzo».

Perché c’è un dato a cui forse non è stato ancora dato abbastanza rilievo. Ed è la vittoria totale di Trump: non solo la presidenza, ma anche Senato e Camera hanno visto l’assoluto predominio repubblicano, «senza contare il fatto che il nuovo presidente dovrà anche nominare quattro giudici della Corte Suprema» spiega ancora il docente.

Cosa cambierà nella vita di tutti i giorni? Nulla, forse. «Del resto è stato eletto un presidente e non un dittatore… o almeno si spera» sorride Alberto. Che però torna serissimo quando parla dell’atmosfera percepita per le strade e soprattutto nell’ambiente universitario. «Sono arrivato qui e nei corridoi i ragazzi ma anche i docenti hanno facce scure, ho visto diverse persone con gli occhi lucidi – racconta – Ho fatto lezione ad una classe con moltissimi ispanici, tutti cittadini americani. Ovviamente oggi non c’è stato spazio per la didattica, abbiamo discusso di elezioni a tutto tondo, cercando di riflettere e di capire. Ebbene, ad un certo punto una ragazza ha confessato di essere terrorizzata. Terrorizzata all’idea di poter essere deportata. Ecco, credo che questo dia la misura di quanto questa elezione abbia sconvolto gran parte della popolazione».

Già. Eppure, vien da pensare, Donald Trump è stato eletto presidente quindi qualcuno l’avrà ben votato. «È stato abilissimo – analizza Gelmi – nell’individuare gli Stati che portavano più grandi elettori e a puntare su quelli. La CNN spiegava come la chiave di volta siano stati Michigan e Wisconsin, due Stati storicamente democratici che questa volta hanno voltato le spalle alla loro tradizione. Il perché? Troppo difficile dirlo. Lo dirà il tempo, lo dirà la storia».

In fondo resta stampata nella pietra la battuta del comico Jay Leno ospite da Jimmy Fallon qualche sera fa: «È incredibile come tra 300 milioni di americani non siamo riusciti ad esprimere due candidati migliori di questi». E intanto ieri il sole, anche su New York, è sorto ancora.