La malattia d’ufficio e la sindrome dell’edificio malato

Le fonti dell’inquinamento indoor sono fortemente definite dalla struttura fisica degli edifici, dagli arredi, dalle età dei componenti e dai fattori ambientali che si avvicendano (umidità, temperatura, ricambi d’aria, ecc…), determinando maggiori momenti di emissione di inquinanti a momenti di minor emissione.

Già in antichità Greci e Romani avevano riconosciuto il nesso tra qualità degli ambienti in cui si viveva e la salute. Aristotele già evidenziava come le popolazioni site nelle zone rurali fossero più sane e avessero maggior resistenza alle malattie di quelle stanziate in zone urbane.

Durante il medioevo la condizione umana generale regredì e le persone si scaldavano intorno a fuochi accesi in stanze anguste e fumose,  persino i nobili vivano in fortilizi umidi, freddi e maleodoranti.  Tale situazione rimase per un lungo periodo e la salubrità delle abitazioni migliorò solo con gli adeguamenti tecnologici dei camini con il convogliamento dei fumi verso l’esterno e con la tamponatura delle aperture verso l’esterno con lastre di vetro per mantenere un ambiente meno rigido a livello climatico. 

Tale processo comunque non portò alla creazione di ambienti abitativi che si potrebbero definire sani. Durante le fasi dell’urbanizzazione quando la popolazione si addensò nei sobborghi urbani annessi alle città in situazioni di sovraffollamento, la qualità degli ambienti interni, l’areazione dei locali e la concentrazione di persone nei locali tornarono ad essere problematiche tangibili e da affrontare con un rigore più scientifico.

Nel 1661 a Londra, John Evelyn illustrò nel suo pamphlet “Fumigium” i problemi legati all’esposizione al fumo che in quegli anni caratterizzava fortemente la città. Ironia della sorte 5 anni dopo l’ 80% della città di Londra venne distrutta dal grande incendio alimentato dalla facile proliferazione delle fiamme tra gli edifici costruiti in legno e posti troppo in adiacenza tra loro. L’incendio che permise di debellare la peste in quanto non risparmiò i vicoli angusti dove la proliferazione dei ratti, veicolo principale alla diffusione diede anche un input alla pianificazione di una nuova città con strade meno strette e edifici che rispettavano le dimensioni delle strade su cui affacciavano. 

La problematica del sovraffollamento e della facile diffusione di malattie infettive in ambienti angusti venne poi enfatizzata a seguito del caso del “buco nero di Calcutta”,  ovvero quando nel 1756, 146 persone vennero imprigionate in un locale di circa 20 metri quadri sprovvisto di finestre a temperature ed umidità estreme. Il giorno seguente alla riapertura della cella tra le persone rimaste in piedi, vista l’impossibilità fisica di potersi sedere, solo 23 erano sopravvissute.

Anche il mal sottile o morte bianca (la tubercolosi) che nel XIX secolo era in Inghilterra la causa di un quarto delle morti (era addirittura considerata una malattia romantica, una buona morte che concedeva una sensibilità maggiore a chi ne soffriva, tanto che le donne impallidivano il loro viso come faceva la malattia per potersi effigiare di maggiore sensibilità) otteneva facile diffusione negli slums, ovvero nei quartieri ad altissima densità, dove regnavano umidità altissima, temperature estreme e qualità dell’aria pessima dettate dalle minime ventilazioni dei locali. Tali quartieri tornarono alla ribalta con i nuovi fenomeni di inurbamento dettati dalla crescita delle industrie nei centri urbani.

Nel 1872 Max Von Pettenkofer, grazie anche a nuova strumentazione tecnica, riuscì ad attribuire valore anche a temperatura e umidità oltre che ai livelli di anidride carbonica e ossigeno per la determinazione della qualità dell’ aria interna agli edifici.

Se con l’ammodernamento si è cominciato a riconoscere e a correggere quali fossero dunque alcune problematiche legate agli ambienti indoor come limitando il numero dei fruitori degli spazi, incrementando le aperture per permettere maggior illuminazione e ventilazione dei luoghi, in contrapposizione lo sviluppo  tecnico ha anche determinato ulteriori problematiche.

Negli anni ’70 la realizzazione di uffici in edifici alti high tech, puliti, lucenti suddivisi da pareti leggere e dotati di tecnologie moderne e con sistemi di ventilazione e condizionamento meccanico all’avanguardia dal punto di vista tecnologico,  spesso hanno dato luogo a ambienti rivelatisi invivibili. Nel  1976 un epidemia colpì 221 veterani che si incontrarono in un albergo di Philadelphia e di questi ne morirono 34. Il batterio gram-negativo a diffusione aerea ebbe sviluppo nell’impianto di  condizionamento di nuova concezione. A tale epidemia venne dato il nome di “malattia del legionario”, comunemente chiamata legionella.

Negli anni ’80 quindi si è cominciato a parlare di “sindrome da edificio malato (SBS)” . Questa si manifesta con sintomi aspecifici ma ripetitivi e non correlati ad un agente in particolare. Tali sintomi si manifestano in una elevata percentuale di soggetti, scompaiono o si attenuano dopo l’uscita dai locali e non sono accompagnati da reperti obiettivi rilevanti. E’ difficile poter affermare che vi sia una vera e propria “malattia” causata dalla permanenza in edifici malati, mentre è certo che vi si può avvertire malessere e senso di irritazione. Il giudizio espresso dagli occupanti è quindi l’unico modo per avere informazioni relative al comfort e ai sintomi aspecifici

Negli anni ’90 si cominciò a parlare  anche di disturbi/malattie associate agli edifici (BRI). Il termine BRI (building related illness) viene invece attribuito ad alcune patologie per le quali vi è una diretta correlazione con la permanenza all’interno di un edificio e per le quali si conosce lo specifico agente eziologico che ne è la causa (esempio la legionellosi). in generale interessano solo un numero limitato di persone.

Nel 1984 l’O.M.S. rilevava che il 30% dei fabbricati di nuova costruzione o sottoposti a recente ristrutturazione poteva essere oggetto di denuncia da parte degli occupanti per la pessima qualità dell’aria al loro interno mentre l’aria interna delle nostre abitazioni risulta essere circa 10 volte più inquinata di quella esterna.

Tali dati risultano allarmanti in quanto la vita dell’ uomo moderno è spesa per circa il 90% in ambienti chiusi e la destinazione edilizia non è rilevante ai fini dell’ inquinamento indoor, poiché ogni tipologia edilizia comporta un carico di inquinamento dettato dalla sua fruizione. Vediamo ad esempio che nel residenziale i rischi espositivi sono maggiori nelle cucine, fruite come locali di soggiorno e quindi in balia dei residui da combustione. Negli edifici scolastici i rischi sono derivati dall’esposizione ai vapori di detergenti e disinfettanti,

ai VOC rilasciati da vernici e adesivi, alla formaldeide sprigionata dagli arredi, agli acari che si annidano nelle biblioteche, ai frutti di un isolamento termico non adeguato (un patrimonio edilizio ad uso scolastico obsoleto di cui circa la metà addirittura senza certificato di agibilità) che permette innumerevoli ponti termici, fenomeni di infiltrazione di acqua e la proliferazione di muffe. Oltretutto buona parte degli edifici scolastici è posta al piano terra e qui la presenza di radon è molto più verosimile. Negli ospedali oltre ai rischi di esposizione visti per gli edifici ad uso scolastico sii possono aggiungere i rischi derivati ad esposizione ad anestetici volatili, rifiuti ospedalieri, contaminazioni biologiche, nonché rischi di natura fisica derivati da illuminazione, rumore microclima, radiazioni ionizzanti e non. Anche gli uffici non sono esenti da rischi correlati ad esposizione a livelli di inquinamento dell’aria dettati da trascurata manutenzione degli impianti di climatizzazione/ventilazione, scarsa igiene dei luoghi, utilizzo di macchine stampanti e laser, divisione degli spazi con moduli che rilasciano VOC, scarsa illuminazione, scaffalature aperte che consentono il depositarsi di polveri e acari. 

Sintetizzando i fattori di rischi negli ambienti indoor possono distinguersi in tre categorie:

  • Fattori fisici:
    • Temperatura: sintomatologie possono verificarsi a temperature degli ambienti già superiori ai 22 gradi Celsius.  Molte sostanze volatili vengono rilasciate maggiormente al crescere delle temperature. Oltre i 24 °C si cominciano ad osservare disturbi della concentrazione.
    • Umidità relativa: valori di umidità relativa inferiore al 30% incrementano le patologie derivate da secchezza dell’aria.  Oltre il 70% (con temperature superiori ai 25° C) si avverte forte discomfort e si favoriscono le trasmissioni microbiologiche.
    • Ventilazione e velocità dell’ aria: necessaria una diluizione dell’aria per mantenerla fresca e pulita ed evitando un’eccessiva contaminazione da bioeffluenti e inquinanti. Anche la stagnazione dell’ aria o la vicinanza alle bocchette di aerazione può determinare discomfort.
    • Illuminazione artificiale: disagio può essere determinato da insufficiente contrasto, eccessiva intensità luminosa, eccessivi punti luce o non idoneo numero con la formazione di angoli bui.
    • Vibrazioni: la prossimità a strade a forte percorrenza anche di mezzi pesanti, a cantieri, a metropolitane o ferrovie che quindi inducono vibrazioni costanti possono indurre disagi.
    • Rumore: dettato sia da fonti interne che esterne ha comunque l’effetto di creare discomfort diminuendo la possibilità di concentrazione e influenzando il benessere in genere.
    • Radiazioni ionizzanti e non: il Radon che viene inevitabilmente emesso dalla crosta terrestre e che è un gas radioattivo è una delle principali fonti di tumore polmonare. Anche gli ionizzatori  negativi che rilasciano ozono possono risultare deleteri al comfort indoor.
    • Fibre: la presenza di fibre minerali artificiali (tra cui l’asbesto) possono impattare sulle sensazioni di comfort. 
  • Fattori chimici: biocidi, profumi, fumo, formaldeide, CO2, VOC…
  • Fattori biologici: muffe, acari, spore, virus, peli….

La sintomatologia più diffusa legata alla sindrome dell’ edificio malato viene di seguito semplificata:

  • Disturbi dell’olfatto e del gusto: vengono modificati distorcendoli verso lo sgradevole le percezioni sensoriali.
  • Sintomi di irritazione cutanea: secchezza cutanea, prurito, dolore, arrossamento.
  • Sintomi di irritazione delle vie aeree, oculari e nasali: dolenze, raucedini, secchezza, dolore, cambio dei timbri vocali, aumento delle secrezioni naso lacrimali, respiro affannoso/rumoroso, asme.
  • Disturbi nervosi: riduzione della concentrazione, affaticabilità, indolenza, letargia, sonnolena, nausee, cefalee, vertigini.

Pertanto le fonti dell’inquinamento indoor sono innumerevoli e oltre che essere caratterizzate  dalla natura biologica dei fruitori (umani e animali) e dalle attività che si svolgono all’interno degli spazi, sono anche fortemente definite dalla struttura fisica degli edifici, dai suoi arredi e dalle età dei suoi componenti e dai fattori ambientali che si avvicendano (umidità, temperatura, ricambi d’aria, ecc…) determinando maggiori momenti di emissione di inquinanti a momenti di minor emissione.

L’inquinamento indoor è un problema complesso e che dovrebbe essere e valutato caso per caso da uno studio interdisciplinare con il coinvolgimento di competenze diversificate. E’ quindi palese che una progettazione preliminare più accurata concorra a prevenire situazioni di difficile cura a progettazione già ultimata. Una progettazione consapevole e pensata al benessere di chi occuperà l’immobile va dunque visto come un buon investimento e per evitare di dover effettuare bonifiche onerose in un secondo tempo.

Rinnoviamo l’arrivederci a settimana prossima per un ulteriore articolo relativo al benessere.

Carmine Provenzano studio Eureka Equipe