“Mensa dei poveri”, la consulente amica della Comi ritratta: “Tangente immaginata per choc”

Dichiarazioni in aula nel processo che vede coinvolta l'europarlamentare di Forza Italia che dice: "Non ho mai ceduto alle pressioni di Caianiello". L'avvocato-commercialista che aveva denunciato l'illecito fa retromarcia in lacrime

MILANO – Un errore, quasi una visione dovuta a un blocco psicologico. Ha clamorosamente ritrattato le sue reiterate precedenti accuse Maria Teresa Bergamaschi, avvocato e commercialista ligure amica dell’Eurodeputata Lara Comi, comparsa davanti al collegio presieduto dal giudice Paolo Guidi nell’ambito del processo sulla cosiddetta “Mensa dei poveri“.

La professionista, esperta di bandi europei, aveva per ben tre volte parlato di una tangente da 10 mila euro che si sarebbe dovuta corrispondere a Giuseppe Zingale, all’epoca dei fatti direttore di Afol Metropolitana, per una consulenza che, in tre passaggi, avrebbe fruttato il valore di 80mila euro.

Ieri, incalzata dal pm Silvia Bonardi sulle sue precedenti dichiarazioni, la Bergamaschi, provata e in lacrime, ha detto di essersi immaginata tutto perché in uno stato di alterazione psicologica dovuto agli arresti e al suo coinvolgimento nella vicenda e poi “era tardi, volevo andare a casa”. Dunque per tre volte si è immaginata una tangente che non c’era per dare all’accusa quello che voleva e liberarsi dalla morsa.

Secondo la stessa Bergamaschi i primi 5mila euro rappresentavano il dovuto per l’onorevole Comi per che le aveva procurato l’incarico e per averla promossa in ambito europeo, mentre per il libro scritto era stata pagata 2.500 euro, incassati dal socio, vero autore della pubblicazione. Una vicenda che aveva visto scontrarsi Zingale e Comi, in disaccordo sul compenso da corrispondere alla professionista (contrario il primo, favorevole la seconda). L’arbitro della contesa sarebbe stato proprio Nino Caianiello, la cui parola a quanto pare rappresentava l’ultima istanza nelle vicende del gruppo.

Sentita dopo Maria Teresa Bergamaschi Lara Comi ha parlato del versamento dei 5mila euro per il lavoro svolto dall’avvocato-commercialista. Mentre in aula si è insistito su un “regalo di Natale” (per l’accusa la tangente da 10mila euro) preteso da Zingale cui si fa riferimento in un messaggio vocale via Whatsapp tra le due donne. La Comi ha dichiarato: “Qualche giorno prima Caianiello mi disse che aveva bisogno di soldi. Io dissi no. Ma immaginai che Zingale avrebbe potuto chiedere a Bergamaschi una retrocessione a suo nome”. La sua tesi è stata: “Siccome mi aveva ricordato a più riprese che quella consulenza Bergamaschi l’aveva avuta da Zingale grazie a lui, ho immaginato che ci potesse essere Nino dietro quella richiesta di denaro”.

L’onorevole però, difesa dall’avvocato Gianpiero Biancolella, ha sostenuto con forza di non aver mai ceduto alle pressioni di Cainiello che c’erano ed erano forti. Lui era un duro, anche se nel processo avrebbe a suo dire fornito una versione “Zen” di se stesso: “Diceva che non arrivava a fine mese e che doveva campare. Gli dissi più volte che lo avrei aiutato a trovare un lavoro in un’azienda, ma lui mi ha sempre risposto che non voleva. Ripeto, però: Caianiello non mi ha mai fatto una richiesta specifica di denaro”.

Insomma qui tra plenipotenziari un po’ cattivi e un po’ Zen, mazzette “immaginate”, consulenze strane con soldi che vanno e tornano non è facile destreggiarsi. Certamente i pm della Direzione Distrettuale Antimafia cercano la loro verità definitiva e si sono fatti un’idea. Il processo (da cui Nino Caianiello è uscito patteggiando) va avanti, i giudici lavorano e aspettano.