«Mio zio pagava una lira tutti i mesi per avere l’onore di giocare nel Varese»

Franco Giannantoni ricorda i veri valori dello spirito che ha animato 105 anni di storia biancorossa. «Le ragazze si trovavano al Lyceum a ballare e raccogliere fondi per la squadra: ognuna versava 5 lire»

«Caro direttore, avrei desiderato vedere citata la fonte di quella splendida foto che, stampata ben 48 anni fa (il 1967) a pagina 8 del mio e di Ettore Mocchetti “Cinquant’anni di calcio a Varese”, è apparsa il 10 giugno scorso a pagina 29 del tuo giornale a corredo di un severo e opportuno richiamo ai valori assoluti dello sport. Ma non fa niente. La mia è una reazione emotiva. Mi sono visto ributtato indietro, tornato alla piena giovinezza quando il Varese stava compiendo i primi passi verso la serie C e io, andando allo stadio al braccio di mio zio, il dottor Emilio Pisoni, allora unico giocatore vivente del primo Varese 1910, lo ascoltavo raccontare di quando pagava una lira per giocare al pallone!», Franco Giannantoni.

Aprendo quel libro dalla copertina rossoarancio, lungo e stretto come il palo di una porta, che Giannantoni scrisse prendendo spunto dai ricordi dello zio, si sente il profumo dell’erba e magari il rintocco delle campane di qualche campanile vicino al campo, ai tempi del Varese in maglia bianco viola, con i giocatori vestiti “Oxford style”, capelli con la riga nel mezzo, pallone di cuoio grezzo con la stringa e gagliardetto.
«Fu il mio primo libro, io e Mocchetti volevamo dare forma alla memoria e far sì che la storia bella del Varese rimanesse viva per molto tempo. Tutto partì dalle suggestioni raccolte parlando con mio zio, Emilio Pisoni, tisiologo e direttore dell’ospedale “Filippo del Ponte”, uno dei rifondatori del Varese Football Club dopo l’ultima guerra e già tesserato quando le partite si giocavano sul terreno dove poi sorse l’Aeronautica Macchi».

Franco conserva la storica tessera color azzurro cielo dello zio Emilio datata 1913, «la foto in circolare, con lo statuto» che dà diritto «a frequentare il club ed a partecipare alla sua vita nel rispetto di stabiliti principi».
«Lo zio per poter giocare pagava una lira al mese, e nella tessera sono puntualmente riportati i versamenti. Il campo non aveva recinzione, i pali della porta erano soltanto due, e prima della partita capitava di dover falciare il prato.

Lo spogliatoio non esisteva, i giocatori si cambiavano in un ristorante lungo il vialone della Macchi. Lui mi raccontava del campo delle Bettole, e dei compagni di squadra morti nella prima guerra mondiale, come Mattai Del Moro», ricorda Franco Giannantoni.
«Mi portava a vedere le partite nel dopoguerra, quando il Varese giocava a Malnate e Induno Olona, perché il campo di Masnago era inagibile. Infatti era stato usato dai fascisti come luogo di concentramento di prigionieri e sul prato si erano bruciate fascine. Emilio Pisoni, assieme a Eligio Caronni, l’uomo che ricostruì la Macchi dopo i bombardamenti, fu l’artefice della rinascita del Varese Calcio dopo la guerra fino all’avvento di Giovanni Borghi e Casati. Furono loro due a trattare le cessioni di Piero Magni alla Juventus e di Franco Ossola al Torino, poi dei fratelli Pontiggia, titolari delle officine meccaniche, pure al Toro. Coriolano era centromediano, e Carlo ala sinistra. Mio zio diventò anche medico sociale della squadra».

“Anni ’30. Il football vive di volontà e di entusiasmo”, è il titolo di un capitolo del libro di Giannantoni e Mocchetti, e la forza delle facce pulite ha trascinato più volte la squadra in imprese inimmaginabili. Fa tenerezza leggere ciò che Caronni, nell’imminenza di una dura partita casalinga scriveva ai giocatori l’8 febbraio 1940: «Non facciamo scherzi, domenica prossima avremo una partita difficile, Varese-Seregno. Per sabato sera, sabato grasso, vi ordino di ritirarvi nelle vostre abitazioni non più tardi delle ore 23. Un apposito servizio di vigilanza funzionerà per l’occasione».
Chi sgarrava si vedeva togliere tre mensilità di stipendio ed era escluso dai premi partita.
La città si mobilitava per la squadra. Altro ricordo toccante di Giannantoni: «In quegli anni il Lyceum era una rinomata sala da ballo e una volta le ragazze varesine di buona famiglia, tra cui Ester Magatti Pisoni, vi organizzarono una festa danzante il cui ricavato, frutto del versamento di 5 lire per una, andò alla squadra del Varese Football Club».
Tempi romantici, che rendono ancora più brusco e doloroso il risveglio in quelli attuali, dove ogni passione è uccisa dall’interesse e le sciarpe biancorosse sciamano su colli che nulla hanno a che fare con la storia e la civiltà del nostro tifo.