CASTELFRANCO EMILIA – “Il mio gesto è dovuto alla totale inadeguatezza che ancora sopravvive in certi istituti, come le case lavoro, che dovrebbero tendere alla risocializzazione ma in realtà sono solo vecchi OPG travestiti da rieducazione”.
Con queste parole, in una lunga lettera inviata a Varesenews, Elia Del Grande — 52 anni, condannato per l’omicidio dei genitori e del fratello e fuggito una settimana fa dalla casa lavoro di Castelfranco Emilia — racconta i motivi del suo allontanamento dalla struttura.
“Le case lavoro sono carceri con un altro nome”
Del Grande descrive un sistema che, secondo la sua testimonianza, non ha nulla a che vedere con il reinserimento sociale: “Mi sono trovato a convivere con persone affette da gravi patologie psichiatriche, sedate con psicofarmaci in dosi massicce. L’attività lavorativa è identica a quella dei regimi carcerari: orari fissi, sbarre, cancelli e sorveglianza continua. Ma chi è lì non è un detenuto: è un internato, privo di diritti, né libero né recluso”.
Secondo l’uomo, le proroghe della misura di sicurezza vengono concesse in modo arbitrario, costringendo molti internati a restare rinchiusi per anni: “Ci sono persone entrate per sei mesi e ancora lì dopo cinque anni solo perché non hanno una casa o una famiglia. In un Paese civile, questo non dovrebbe più accadere. Eppure l’Italia è l’unico Stato europeo che ancora applica le misure di sicurezza di epoca fascista”.
“Avevo ricostruito la mia vita, ma mi hanno strappato tutto”
Dopo la scarcerazione, avvenuta nel luglio 2023, Del Grande racconta di aver ritrovato un equilibrio: “Avevo un lavoro stabile, una compagna, una casa. Pagavo le bollette, rispettavo le regole. Ma un magistrato di sorveglianza ha deciso di rinchiudermi di nuovo, distruggendo tutto ciò che avevo faticosamente costruito”.
Rinchiuso a Castelfranco Emilia, l’uomo dice di aver perso ogni speranza: “Mi sono visto crollare il mondo addosso. Ho pagato la mia pena, ma continuo a essere giudicato solo per ciò che ho fatto trent’anni fa. Per questo mi sono allontanato: non per evadere, ma per respirare”.
“Pago ancora per il mio nome”
Nella lettera Del Grande accusa parte dei media di averlo etichettato nuovamente come “pazzo assassino” e “serial killer” senza considerare il suo percorso di reinserimento. “Ringrazio chi ha scritto che non si tratta di evasione, ma di un allontanamento. Io non voglio fuggire dalla giustizia, voglio solo denunciare un sistema disumano che non offre alcuna possibilità di riscatto”.
Una misura controversa
Elia Del Grande, uscito dal carcere dopo 26 anni e quattro mesi di reclusione, era stato affidato alla libertà vigilata, misura poi ritenuta inadeguata dalla magistratura per la sua presunta “pericolosità sociale”. Il 23 settembre scorso era stato quindi trasferito nella casa lavoro di Castelfranco Emilia, da cui si è allontanato il 30 ottobre.
Negli ultimi mesi aveva vissuto nel Varesotto, a Cadrezzate, nella casa di famiglia sopra il vecchio forno dei genitori.
Oggi, la sua lettera riaccende i riflettori su una questione ancora poco discussa: l’esistenza, in Italia, di strutture “di lavoro” che molti descrivono come carceri senza fine — un limbo giuridico dove la rieducazione, spesso, resta solo sulla carta.













