Politici, non saremo super partes

L’editoriale del direttore Andrea Confalonieri

Visto che qualcuno non ha capito o finge di non capire, oppure forse ancora non lo sa («Cosa vengo a fare in Provincia, tanto con il direttore posso parlare solo di sport?» disse un assessore di Varese, senza sapere che lo sport insegna a dare battaglia finché gli altri credono di averla vinta, e a batterli proprio in quel momento), è meglio mettere le cose in chiaro per chi è duro di comprendonio o proprio non ci arriva.


Ai lettori, cittadini, politici e anti-politici promettiamo identico spazio e trattamento durante la campagna elettorale ma non possiamo promettere ciò che non abbiamo mai mantenuto, e mai manterremo: trattenere il nostro libero pensiero, esporci a giudizi nei confronti di chi non ha bisogno di tappeti bianchi ma di essere incalzato, criticato, promosso o bocciato per ciò che dice e promette, o che ha promesso. Siamo qui per questo: interpretare, giudicare e decidere, come qualunque cittadino, chi ci convince e chi no.
Esistono i giornali e i giornalisti che attraverso abilissimi giri di parole e facendo finta di essere super partes conducono il lettore esattamente alla scelta che il politico amico suggerisce, e magari sono pure giornali giornalisti di lunghissimo corso pronti a condurre dibattiti o a vergare editoriali nel nome dell’indipendenza, dell’equidistanza e bla bla bla. Noi non lo siamo e non ci fingiamo arbitri imparziali per poi decidere la partita con un fischio “assassino”. Siamo giocatori esattamente come voi, che vogliono giocare la partita fino al fischio finale e pure vincerla, che non tirano indietro la gamba, che non hanno paura di esprimere i loro dubbi, le loro certezze, il loro sentimento. Che giudicano la politica (e l’anti-politica) come la vita, bella o brutta, bastarda o pura, vera o finta, bugiarda o sincera.
Non siamo ipocriti come non lo è stato Francesco Caielli l’altra sera quando ha concluso il suo articolo sul confronto tra i candidati sindaco alle primarie del centrosinistra varesino con dieci righe che onorano lui, il giornale per cui scrive e la sua professione. Dieci righe che iniziavano così: «Diamo i voti alla serata».
Prima Francesco ha diviso equamente il suo articolo con le precise parole di ognuno dei quattro, e poi – pizzicandosi e dicendosi “io sono un giornalista, un cittadino e un uomo, non un pappagallo” – ha fatto quello che tutti dovrebbero fare, assumendosi le responsabilità del suo ruolo e del suo compito: ha pesato e valutato ciò che i politici o aspiranti tali avevano appena detto. E li ha messi giustamente in fila, dando a tutti la possibilità di migliorare o rifarsi, di capire il messaggio che erano riusciti a far passare e quello che invece era rimasto nei loro sogni: Daniele Zanzi, che in tanti vedevano già sconfitto in partenza, si è preso 7,5 («Appassiona la folla senza provare a fare il politico di professione») esattamente come Marantelli («Parla da varesino ai varesini e tocca le corde giuste»), che in tanti davano già vincente in partenza. Galimberti, 7: «Piace per quello che dice e per la freschezza, ma non è un animale politico», ha scritto il Caio facendogli quasi un complimento superiore al voto preso. De Simone 6.5 perché «ci mette un po’ a carburare ma poi porta i binari della discussione dove vuole lui»: fossimo in De Simone, saremmo contenti d’avere un’arma così formidabile come la rivincita e il contropiede che altri, vedendosi magari già sindaci, non hanno.
Noi della Provincia, e forse anche tanti di voi, siamo tutti Francesco Caielli: non guardiamo in faccia a nessuno ma non mettiamo la testa sotto la sabbia. Siamo in campo e giochiamo. Ascoltiamo tutti, ma non siamo passivi. Né tromboni, né zerbini. Rompiscatole, invece, sì e infatti da quattro persone che partecipano alle primarie del centrosinistra ci saremmo aspettati almeno una sillaba sulle realtà sociali più deboli e sulla disabilità. Ma quella parola (disabili) che per noi vale molto nessuno l’ha pronunciata: perché?

Ps: non rida il centrodestra, diciamo queste cose a chi è già uscito dal guscio solo perché non possiamo fare altrettanto con chi non l’ha ancora fatto.