Quando al Borducan suonava l’amore

Viaggio nella storia dell’Elixir e della bottiglina-carillon con il quale veniva servito fino agli Anni 90. Fu un regalo del nipote al mitico signor Bruno. Che decise di “pensionarla” per paura di romperla

– Tace da venticinque anni il carillon della bottiglina che al Borducan ha fatto innamorare generazioni di varesini. Eppure in tanti se lo ricordano bene: al Caffè del signor Bregonzio a Santa Maria del Monte, negli Anni 70, venivano su a frotte i ragazzini del liceo con i motorini, gli universitari alle soglie degli esami, i neopatentati con la prima auto, e innamorati di ogni età.

«Il Borducan era il rifugio ideale del “bigiatore” varesino – racconta l’ex cairolino , oggi affermato direttore dell’orchestra “I Trovieri” – Lì ci potevamo nascondere senza rischiare di vedere comparire all’orizzonte genitori o vicini. Si chiacchierava con il signor Bruno, un signore minuto, garbato e poco appariscente, dai modi d’altri tempi».
Vestito di scuro, col gilet, e un paio di baffi come s’usava all’epoca, il signor Bruno era erede di una generazione di “caffettieri”. Il primo fu , con un locale che a inizio secolo si affacciava sul Viale delle Cappelle, successivamente trasferito in via Caterina Moriggi, con la costruzione del Borducan, per intercettare il flusso dei turisti abbienti che si servivano della funicolare. Era stato il nonno di Bruno ad inventare l’Elixir nel 1872. Il segreto? Presto detto: scorze d’arancia, pazienza e passione.

«Portai in dono a mio zio quella vecchia bottiglietta trovata in un bric à brac di Colonia, eravamo a metà degli Anni 60 – dice il nipote , figlio della sorella Anna – Per trent’anni lo zio l’ha sempre usata perchè piaceva ai clienti: in molti salivano qui solo per sentirla suonare. Lo zio doveva rabboccarla in continuazione perchè conteneva solo 500 millilitri; coi ritmi di servizio delle caffetterie moderne questo non sarebbe più possibile.

Lo zio smise di far suonare il carillon intorno agli Anni 90, poiché temeva che il meccanismo andasse rotto e di perdere per sempre la musica».
La bottiglia di vetro verdone, rivestita da una struttura in ottone di stile vagamente liberty che la fa assomigliare ad una lanterna, nasconde nel sottofondo in legno il meccanismo di un carillon che suona solamente se la bottiglia è sollevata dall’appoggio.
Una melodia romantica che strappava a tutti un sorriso: un invito a brindare ed essere felici, in linea con i motivi delle operette nella tradizione popolare tedesca dell’inizio del ‘900.

Alla scomparsa del signor Bruno, non fu possibile trovare la ricetta originale dell’Elixir: respinta l’offerta della distilleria giapponese Borduc che voleva acquistare il brevetto, per non sbagliare, l’orgoglioso sacromontino tenne segreta la ricetta fino alla morte.
Lasciò quindi solo un foglio scritto a mano con la matita copiativa: poche istruzioni di massima che prevedevano ingredienti, e poi infusione, decantazione e riposo in botte. Per proseguire la tradizione, prima di esaurire le scorte, Armando Bianchi si rivolse ad della distilleria Rossi d’Angera. Fecero analizzare da un esperto assaggiatore i fondi del liquore: con vari tentativi, durati un intero anno, ricostruirono con precisione la formula con cui avviare la produzione, per la quale sono state riutilizzate anche alcune antiche botti provenienti dalla cantina dei Bregonzio.