Quel treno passato ormai dieci anni fa che nessuno ha preso

La varesina Elena Terziroli scrisse la prima tesi che prefigurava l’unione delle stazioni cittadine: «L’errore sta nello snobbare la storia del territorio»

– Il treno che ha unito le due stazioni di Varese è passato dieci anni fa ma nessuno lo ha preso al volo perché la tesi in Ingegneria edile e architettura di è rimasta sulla carta. La studentessa varesina, ora stimata professionista dalla vena artistica marcata, era stata premiata dal 110 e lode assegnatole all’Università di Pavia, che rende merito a uno studio serio, apprezzato non solo dal relatore , dalla correlatrice e dagli altri componenti della commissione. Le

riflessioni della tesi di Elena Terziroli sul recupero urbano e sull’unificazione delle stazioni varesine rappresentano infatti un’intelligente risorsa d’avanguardia su come dare una risposta sensata a un problema tornato improvvisamente di moda a pochi mesi dalle elezioni comunali. Il nodo, irrisolto da sempre, è stato affrontato partendo dall’approfondimento del contesto storico varesino, indagato con scrupolo dalla Terziroli, donna schiva e riservata che non ama la vetrina. Ma forse varrebbe la pena interpellarla e rileggere la tesi insieme a lei.

Forse perché lo spazio tra le due stazioni è un luogo in cui sono sempre passata: da bambina, tenendo per mano mia mamma per andare al mercato. E poi, diventata grande, per salire sui treni che mi portavano a studiare fuori da Varese.

Spesso i legami con il territorio non sono adeguatamente considerati fino a venire addirittura snobbati, soprattutto in città che, come Varese, sono vicine a delle metropoli. Non bisogna avere la tentazione di internazionalizzare il progetto. Al contrario, bisogna partire dalle radici del territorio e del suo tessuto urbano. L’unione fra due stazioni non è solo quella dei binari ma riguarda le loro funzioni di interscambio. Occorre ragionare sul vissuto storico della comunità e del suo legame con la città. Nella mia tesi ho tentato di creare i presupposti per una rete interna al capoluogo, una rete prima di tutto tra i cittadini, fatta anche di presenze e di storia.

Certamente. Varese nasce probabilmente nella sua attuale conformazione come luogo d’incontro religioso e mercantile delle genti dei colli circostanti. Le castellanze di Biumo Superiore, Biumo Inferiore, Giubiano, Bosto e Casbeno, che la attorniano dall’alto, sono collegate direttamente al borgo attraverso direttrici adagiate tra le pieghe del territorio. Ora, il problema è che quando sono state costruite le stazioni, già nell’Ottocento, il fascio dei binari ha agito come una ferita, tranciando di netto l’antica via per la Castellanza di Giubiano. Si è venuto così a creare quello sbarramento che ha «atrofizzato», come scriveva il Morpurgo in una relazione del 1928, lo sviluppo edilizio sul colle Giubiano, staccando dalla città il quartiere di Belforte.

Il treno è come un flusso. Potresti coprirlo, come si fa con un fiume, oppure valorizzare l’idea del ponte per ristabilire una via precedente. Un tempo da via Morosini si arrivava direttamente a Giubiano senza bisogno di scendere e salire le scale dei sottopassaggi. Immaginatevi la stessa via che vi porta alla stazione unita ma anche all’ospedale del Ponte o, se siete studenti di Medicina, più su, fino al Circolo. Il tutto nel verde, rispettoso della tradizione: perché anticamente al posto delle ferrovie c’erano campi coltivati e perché Varese è la Città Giardino. Ma senza dimenticare i parcheggi per risolvere l’anomalia di piazzale Kennedy dove non si possono mettere le macchine nei giorni di mercato, quando però servirebbero di più.