Questi ruderi ci ricordano don Natale

In molti al Campo dei Fiori non sanno che un prete riaprì la colonia fascista per i ragazzi in difficoltà. Era appena finita la guerra e lui, che aveva salvato tanti ebrei, lassù accoglieva giovani ed ex detenuti

– Come molti spesso accade nelle nostre zone, esistono dei luoghi abbandonati a se stessi da molti anni. Alcuni giacciono senza storia, altri invece rivivono grazie alla memoria storica di pochi superstiti o grazie al recupero di alcune fotografie sopravvissute agli anni.
Come nel caso della Colonia Magnaghi al Campo dei Fiori.
Per quanto l’architettura degli esterni lasci ancora immaginare lo splendore dei tempi andati, oggi definirlo fatiscente sarebbe un eufemismo.

Si sa per certo che la ex colonia sul fronte porta scritto “1938” ma risale in realtà al decennio precedente. Era stata costruita sul finire degli anni Venti dalla “Società anonima dei grandi alberghi varesini”, costituita nel 1907, per farla diventare una pensione destinata ai numerosi villeggianti milanesi.
Venne successivamente acquistata da un ingegnere, tale , che la fece diventare una colonia montana estiva molto in voga durante il periodo Fascista. La colonia venne recuperata subito dopo la fine della guerra da don per aiutare i ragazzi in difficoltà

e con problemi. Motta oggi é ricordato da pochissimi.
Fu un sacerdote coraggioso nella Resistenza, umile e generoso. Coordinò l’Oscar (Organizzazione Soccorsi Cattolici Antifascisti Ricercati) con don e don (sfollati dal collegio San Carlo di Milano) e don dell’oratorio San Francesco di Varese, salvando decine e decine di persone, ebrei e giovani in fuga verso la Svizzera per non aderire ai bandi di Salò.

Don Natale aiutò moltissimi fascisti braccati e ricercati dai partigiani e in quel periodo la Colonia Magnaghi fu definita per undici mesi (tanto durerà questa esperienza al Campo dei Fiori) “Prigione senza sbarre”.
Questo perché tra i moltissimi ragazzi c’erano anche ex detenuti che non avendo un posto dove stare venivano accuditi da don Natale presso la Colonia con la “promessa” di non fuggire. Poi l’amnistia Togliatti. Mercoledì 10 luglio 1946 la Colonia chiuse i battenti. La colonia rimase in preda ai bivacchi e a occupazioni abusive fino agli anni Settanta, quando fu rilevata dal centro Gulliver. Solo molto più tardi, circa una decina di anni fa, il centro varesino che tutt’oggi ne risulta proprietario ha presentato un progetto per recuperare edificio e annessa cappella.
Eppure, tra un vandalismo e un pezzo di pavimento crollato, c’è una piccola porzione interna dell’edificio, la cappelletta appunto, capace ancora di far sgranare gli occhi a chi per caso ci butta uno sguardo.
Quest’ultima è completamente decorata con fregi e dipinti ben conservati anche se, a livello strutturale, in gran parte è stata devastata sia dal tempo che dai vandali.

Chi l’abbia dipinta, non si sa. E a chiedere in giro, sono in parecchi a non sapere nemmeno che là sopra esista questa piccola cappella.
L’intenzione di sistemarla a dovere e di recuperare la bellezza perduta in realtà c’è sempre stata, come assicura don fondatore del Centro Gulliver, ma oltre al progetto (che pure costa) per arrivare al dunque ci vogliono i soldi per realizzarlo.