«Qui c’è fame e amore per il gioco»

Intervista a Lilli Ferri, coach della Varese prima in serie B: «Continuiamo a crescere»

The same old story, scriverebbero oltre Manica: sempre la stessa storia… Il Branco dal pelo biancorosso è primo in classifica, un altro anno ancora: qual è la novità? Nessuna ed è questo il bello: cantare le lodi del basket vincente e orgoglioso della Pallacanestro Femminile Varese non è solo spargere il meritato incenso su una costanza invidiabile, è anche rinnovare perennemente il racconto di un sogno che non conosce ostacoli né limiti, che sia quello di una giocatrice di trent’anni desiderosa di conquistare una promozione con cui coronare una carriera, o quello di una “cucciola” di 14 che impara – sudando – quanto il basket sia lo sport più bello del mondo.

Dietro a questi onirici destini, soprattutto quello delle giocatrici “green”, c’è un Morfeo che li alimenta ad ogni sgambata sul linoleum della palestra: si chiama Lilli Ferri. Di professione coach, dicono: noi preferiamo definirla una “levatrice della perfezione”.


Non lo è, ma non c’è nulla di scontato nel cammino che abbiamo compiuto. Pur ammettendo che i valori delle singole squadre non sono sempre assimilabili, la serie B rimane un campionato difficile: un ruolino di marcia da 14 vittorie e due sconfitte ce lo teniamo molto stretto. Ora affronteremo il girone di ritorno, con formazioni che sono cambiate e situazioni che non saranno quelle dell’andata. Lo spirito, però, deve rimanere quello di sempre: mettere tutto in campo ogni domenica.


Io trovo che davanti alla sconfitta non ci siano differenze tra una squadra vincente e una invece più abituata a perdere, perché magari non lotta per le prime posizioni quanto invece per non retrocedere. L’importante è non fermarsi semplicemente a dire «ok, abbiamo perso», ma, ogni volta, dividersi le responsabilità. La sconfitta è spesso una conferma: la nostra ultima (contro Trescore ndr, terzultima, domenica scorsa ndr), per esempio, ci ha confermato che non dobbiamo mai farci condizionare dalla forza del nostro avversario, che sia il secondo in classifica o l’ultimo. Per capirlo davvero forse è stato un bene toccare con mano l’insuccesso.

Il cammino di una squadra deve sempre essere contraddistinto da una crescita: serve per restare al pari con avversari che cercheranno di fare lo stesso. La pillola magica è solo una: far sì che da ogni allenamento esca qualcosa di più rispetto a quello precedente: solo così saremo in grado di mantenere la nostra prima posizione e poi scontrarci, nei playoff, con realtà più attrezzate che si giocheranno tutto.

Nel settore giovanile sta pagando tanto il lavoro, un lavoro che mira a far crescere le nostre giovani e a farle diventare pronte per i campionati senior. Con loro si mira alla formazione, non al risultato. Se c’è una cosa che mi ha dato grande soddisfazione in questi anni a Varese è stato vedere le mie “under” iniziare a capire la pallacanestro, ad amarla e a volerla giocare: è stato vedere una giovane giocatrice iniziare a prendere le scelte giuste in autonomia, non perché obbligata da una ripetizione.


Da noi, ed è una condizione indispensabile per la selezione che faccio, ci deve essere sempre la fame di dare il massimo nella pallacanestro. Non importa per quanto tempo, non importa se questa fame ti porterà fino in serie A: ci deve essere, punto. In caso contrario le mie giocatrici con me passerebbero un’ora e mezza della loro giornata nel modo peggiore…


Non rispondo nello specifico perché non ho elementi per valutare davvero la situazione della Openjobmetis. L’idea, di pancia, a distanza, valida non solo per Varese ma per tutta la pallacanestro professionistica maschile è che le squadre vengano sempre meno “costruite” d’estate, prima di iniziare la stagione, e all’interno degli spogliatoi. E per costruite intendo la costruzione dello spirito di squadra: se non c’è, se viene trascurato, si fa fatica. Invece è fondamentale: lo sport non è un lavoro qualunque, per farlo bene devi avere qualcosa dentro.