San Vittore, le detenute pestano a sangue Alessia Pifferi: fece morire di fame Diana, la figlia di 16 mesi

La madre di Diana, la bimba morta di stenti perché lasciata sola a casa per una settimana, sarebbe stata picchiata in carcere: le ultime su Alessia Pifferi.

MILANO — Si è già messa in moto la cosiddetta «giustizia del carcere» nei confronti di Alessia Pifferi, la 36enne reclusa nel carcere di San Vittore (Milano) con l’accusa abominevole di omicidio volontario per aver lasciato morire di stenti la bimba Diana: secondo quanto denunciato dalla sua legale, Solange Marchignoli, alcune detenute l’avrebbero picchiata selvaggiamente approfittando dell’unica volta in cui non si trovava in isolamento. «È successo una settimana fa dopo la prima udienza in tribunale. Alessia stava raggiungendo una suora quando è stata aggredita dalle altre detenute che le hanno tirato i capelli e schiaffeggiata. Questa donna ha molta paura di quanto le sta accadendo», ha riferito l’avvocato al Corriere della Sera.

Il Gip: “Alessia Pifferi era consapevole”

Ed è arrivata ieri la decisione del gip di Milano, Fabrizio Filice, di respingere la seconda istanza della difesa che chiedeva l’accesso di esperti in carcere per effettuare una perizia neuroscientifica sulla donna. «Nessuna storia di disagio psichico nel suo passato, Alessia Pifferi si è sempre dimostrata consapevole» di cosa era successo alla figlia Diana, «orientata e adeguata», nonché «in grado di iniziare un percorso, nei colloqui psicologici periodici di monitoraggio, di narrazione ed elaborazione del proprio vissuto affettivo ed emotivo». I legali della difesa respingono questa versione, dubitando «della sua capacità di comprendere, di elaborare il pensiero. Per questo servono i consulenti neuroscientifici. In più vogliamo avere audio e video degli interrogatori perché qualcosa non torna. Da quei verbali emerge un linguaggio che Alessia Pifferi non è in grado di produrre».

Una storia agghiacciante

Alessia Pifferi aveva lasciato la bimba Diana, di soli 18 mesi, incustodita e priva di cure e assistenza per sette giorni, per poter raggiungere il proprio compagno, residente in provincia di Bergamo. La donna avrebbe abbandonato la piccola in un lettino da campeggio con un biberon di latte, dopo averle cambiato il pannolino. Diana era morta di fame e sete, sigillata in casa nel caldo torrido, in un’agonia durata la settimana dal 14 al 20 luglio. Dai racconti dell’accusata erano emersi altri particolari agghiaccianti: Diana era stata partorita in bagno dalla madre che non sapeva nemmeno di essere incinta fino a poco tempo prima del travaglio. Senza padre, era costretta a dormire nel passeggino.

Non era nemmeno stata battezzata: la madre aveva organizzato un festa per il suo battesimo, che non avvenne mai. Alessia Pifferi l’aveva utilizzata come pretesto per “scroccare” regali ad amici e conoscenti. La bimba era uno strumento per muovere a compassione parenti e vicini di casa.