“Schettinen”: un titolo che non faremo mai

L’editoriale di Francesco Caielli

Come si fa a mancare di rispetto, in un colpo solo, a 182 morti (quelli del volo Germanwings e quelli del naufragio della Concordia)?
Come si fa, con un infido colpo di penna, a ucciderli un’altra volta? È semplice, è fin troppo semplice: si fa un titolo come quello che ha fatto Il Giornale ieri. “Schettinen”: ecco cosa ha sbattuto in prima pagina il quotidiano diretto da Sallusti. Schettinen, parlando del copilota che ha schiantato il suo Airbus su una montagna trascinandosi dietro 150 vite. Schettinen: siete peggio della Concordia.

In una disgustosa gara tra poveretti, a rinfacciarsi tragedie e follie. Germania batte Italia 150 a 32: palla al centro.

No, non è questo quello che sognavamo. Non è questo quello che volevamo quando da ragazzini eravamo affascinati dalla bellezza di questo mestiere, contagiati da una vocazione e rapiti dalla potenza di un lavoro che ci avrebbe regalato il potere più bello: quello di raccontare le storie e inseguire la verità. Non era questo quello che intendevamo quando, nei temi delle elementari, scrivevamo “Io farò il giornalista”.
Stringiamo tra le mani tremanti di rabbia la prima pagina del Giornale di ieri, e ci ripetiamo che forse hanno ragione loro: che le regole in un mondo dell’informazione ormai stuprato e divorato dal delirio di onnipotenza sono fin troppo chiare e che per farsi sentire non si può fare che una cosa. Urlare.

E chissenefrega di quel che si dice: basta far voltare il maggior numero di persone, anche a costo di gridare una bestemmia in chiesa. E c’è poca scelta, signori: o ti adegui al prezzo di far fatica a guardarti allo specchio, oppure muori e vai a fare un altro lavoro. In quello “Schettinen” sparato a tutta pagina c’è l’ultimo chiodo piantato sulla bara di una professione morta.
Suvvia: ha davvero ancora senso crederci? Ha davvero ancora senso incoraggiare un ragazzino che ti vede come un eroe e che sogna di leggere, un giorno, la sua firma sulla pagina di un giornale? Ha ancora senso lottare per difendere il mestiere più bello del mondo, oppure dovremmo semplicemente ammettere la sconfitta e restituire la tessera dell’Ordine per protesta?

Ha senso. Perché la tragedia del volo 4U 9525, nel suo orgasmo di disperazione, ci offre anche uno spunto di speranza da non sottovalutare. Nella notte tra mercoledì e giovedì il New York Times è riuscito ad avere la notizia prima di tutto il mondo: macché guasto tecnico, quell’aereo si è schiantato perché il copilota si è chiuso in cabina e ha puntato su una montagna, deliberatamente.
Il giornale americano, come si fa in questi casi,

ha verificato la sua fonte e poi ha pubblicato la notizia sul suo sito internet. Con un titolo discreto, di spalla, senza sparare e senza urlare. Quasi in punta di piedi. E ci piace pensare che lo abbia fatto per rispetto di chi su quel volo ci era morto, per i parenti in attesa di sapere qualcosa nella consapevolezza che non avrebbero nemmeno avuto un corpo per il quale piangere. E anche per rispetto verso un lavoro che non è solo un lavoro, ma è una missione oltre che una responsabilità.

E allora facciamo una promessa: la facciamo a ogni singolo lettore, ma soprattutto la facciamo a noi stessi. Continueremo a scrivere e continueremo a raccontare, e continueremo a farlo nell’unico modo che conosciamo: con forza e passione, con coraggio e serietà. E se un giorno ci toccherà di dover raccontare la tragedia di un aereo schiantato su una montagna, lo faremo come se a bordo di quel volo ci fosse anche nostro padre.