Siria, Russia e Iran: crollo del 50%, ma l’export è “missione possibile”

L’Unione Degli Industriali Varesini dette le regole per superare il drastico calo delle esportazioni

Quando si decide di esportare un prodotto le variabili da tenere in considerazione sono tante: ma soprattutto in continua evoluzione. E così le regole che valevano ieri per un determinato Paese oggi potrebbero non valere più.

Iran, Siria e Russia in questi mesi hanno giocato qualche scherzetto ai commerci internazionali, tra embargo e tensioni varie ma, spiega Univa, con tutti gli accorgimenti del caso, la missione non è impossibile.
«”Prevenire è meglio che curare” – spiega l’Unione Industriali varesina – è un motto sempre valido, anche per le imprese che vogliono esportare in Paesi sotto embargo, come Siria, Russia e Iran». Mercati dove le aziende varesine hanno esportato, nei primi sei mesi di quest’anno, beni per un valore di 107 milioni di euro: parliamo del 50% in meno rispetto allo stesso periodo del 2013.
Con un calo soprattutto imputabile all’arretramento dell’export in Russia, sceso del 51,1%, contro il -13,2% registrato in Iran e il +32,1% della Siria.

E la “mission impossible” che si è data l’industria locale attraverso l’Unione Industriali varesina è quella di invertire questo trend per tornare a crescere in mercati diventati così ostici ma così strategici per le nostre merci: «Bisogna però stare attenti alle regole da rispettare e ad evitare sanzioni, che possono anche costare caro».
Gli embarghi infatti non sono sinonimo di chiusura totale: ci sono spiragli nei quali è possibile inserirsi, in particolare per la vendita di tutta una serie di prodotti che nascono, vengono prodotti e venduti esclusivamente per uso civile, «salvo, però, la possibilità per chi li compra di farne un utilizzo del tutto diverso» sottolinea Univa.
Sono i cosiddetti beni a duplice uso: «È qui che le imprese devono stare attente. Non basta l’intenzione del produttore. Le regole che vanno rispettate per l’esportazione di tali prodotti sono tante. E altrettanti sono i rischi per un’impresa».

Un esempio realmente accaduto: il container di un’azienda contenente innocue fascette di cablaggio, non sono mai arrivate a destinazione, perché bloccate in dogana con la motivazione che potevano essere usate dal ricevente come strumento di arresto per la repressione delle proteste interne.
«E se delle semplici coperte venissero utilizzare da un governo non in un ospedale ma per l’esercito? E se delle semplici tute di protezione da lavoro venissero riadattate come divisa antisommossa?»: il confine è

labile. Altro mercato sensibile e sotto embargo è la Siria dove le imprese non possono esportare oggetti che potrebbero essere usati come strumento di repressione interna o beni per lo sfruttamento del petrolio e del gas.
«Tra l’altro – spiega Zeno Poggi, consulente aziendale – le imprese devono stare attente anche alle regole imposte dall’embargo statunitense. Se un’impresa le viola direttamente o indirettamente viene segnalata e così nessun contratto potrà essere in futuro firmato per vendite o acquisti con qualsiasi società degli States».
Insomma in Iran, Siria e Russia è possibile esportare. Ma cosa? «Tutto ciò che non è vietato. Basta stare attenti alle regole, alla corretta compilazione dei documenti. Gli imprenditori non devono avere paura», aggiunge Massimo Cipoletti del Ministero dello Sviluppo Economico.
E, aggiunge Poggi «la sicurezza passa da una corretta gestione dell’esportazione a partire dalle fasi preliminari. La maggior parte degli errori e dei ritardi in dogana sono dovuti alla mancanza dei documenti necessari in azienda».