Strage di Erba. Difesa, nuovo teste Frigerio: sono bestie sanguinarie

“Sono bestie sanguinarie e in questo modo l’hanno dimostrato”. Parole di Mario Frigerio, l’unico sopravvissuto alla strage di Erba dell’11 dicembre del 2006 che in questo modo ha replicato alla lettera e alle dichiarazioni dei coniugi Romano i quali, rivolgendosi proprio al supertestimone, l’avevano invitato ad ammettere di essersi sbagliato nell’identificazione.
Mario Frigerio è presente nell’aula della Corte d’assise  di Milano dove si sta tenendo il processo d’appello. 
“L’ho avuto a un metro e mezzo e ho sempre detto che è

stato Olindo” ha ribadito Frigerio, marito di Valeria Cherubini una delle quattro vittime della strage, sottolineando che “ho voluto esserci oggi per poterlo guardare negli occhi”.
Sul fronte del dibattimento la difesa dei Romano, attraverso l’avvocato Schembri ha chiesto al presidente della Corte, Maria Luisa Dameno, di ascoltare un detenuto nordafricano che nel 2005 era recluso insieme con Azouz Marzouk, marito e padre di due delle quattro vittime, nel carcere di Como, e che in una lettera di poche righe inviata alla Procura Generale scrive, “per motivi di coscienza”, in un italiano approssimativo, che “secondo me gli imputati non c’entrano nulla con la strage”.
“Una prova decisiva” secondo la difesa, “una prova superflua e irrilevante” secondo il sostituto procuratore Generale Nunzia Gatto, una “letterina che non vale assolutamente nulla” e che fa riferimento all’ipotesi di vendetta trasversale nei confronti di Marzouk “che è già stata ampiamente affrontata in primo grado” e ritenuta non credibile dai giudici.
Il sostituto Pg si è opposta all’esame del testo e alla riapertura del dibattimento, respingendo anche un’altra lettera, questa volta presentata dall’avvocato Mario Tropenscovino, legale di Azouz Marzouk che nella strage ha perso la moglie e il figlio. E’ la lettera inviatagli da un detenuto tunisino che bolla come “millantatore e ubriaco” e “smentisce in modo categorico” quanto dichiarato da Ibrahim Chencoum, un teste della difesa che aveva sostenuto che la sera della strage avrebbe visto Pietro Castagna allontanarsi dal luogo del delitto. Il presidente della Corte si è riservata di decidere di queste cose insieme con le altre, diverse, istanze già presentate dalla difesa, presumibilmente una volta entrato in Camera di consiglio.
Successivamente è partita l’arringa dell’avvocato difensore Nino D’Ascola, che ha ribadito la richiesta di perizia psichiatrica per i suoi assistiti.

u.montin

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