«Vado a Trapani ma non vi dimentico»

Matteo Jemoli, ormai ex assistente della Pallacanestro Varese, conferma il suo addio in questa intervista di Fabio Gandini

Da ieri è ufficiale: non vedremo più Matteo Jemoli sulla panchina del Palawhirpool, composto di fianco al capo di turno, umile e attento, il perfetto dei discepoli e degli aiutanti.
Volete capire chi abbia davvero perso Varese? Leggete questa intervista: alcuni passaggi descrivono bene la persona e il professionista. Varese ha perso tanto.

Mi è stata offerta la possibilità di fare il vice allenatore in Lega 2 e io ne ho parlato con la società. Loro hanno compreso la voglia che ho di imparare a muovermi con le mie gambe, hanno capito che questa per me sarebbe stata un’occasione da non perdere. Li ringrazio, in particolare il presidente Stefano Coppa: non mi ha ostacolato nel dialogo con chi mi aveva cercato.

Sì, ho bisogno di un’esperienza nuova per crescere: è arrivato il momento di prendermi qualche responsabilità in più.

Con Ugo mi sono trovato bene sia dal punto di vista umano che professionale: sul basket la pensiamo sostanzialmente allo stesso modo, pur conservando alcune diversità. Mi riempie d’orgoglio il fatto che abbia pensato a me come vice e cercherò in ogni modo di ripagare la sua fiducia.

Che sia formativo sotto tutti i punti di vista. Come esperienza di vita, innanzitutto: lascio per la prima volta la famiglia, gli amici e quei colleghi che negli ultimi giorni mi hanno riempito di affetto e che spero di aver ricambiato. Come parentesi sportiva, poi: sarò il secondo e non più il terzo in panchina e ciò avverrà in una piazza importante.

Già, ero molto giovane e davo solo una mano con i video. A lui spero di aver rubato il segreto del rapporto con i giocatori: parlava moltissimo con tutti, sia con i veterani come Childress e Galanda, sia con i giovani come Martinoni o Gergati. Regalava tanta attenzione.

Il mio primo vero capo allenatore. Da lui ho imparato molto dal punto di vista umano: prima viene l’uomo, solo poi il giocatore. Subito dopo viene ciò che mi ha insegnato nella gestione di allenamenti e partite.

La mia stagione migliore, per risultati e ambiente: un anno indimenticabile. A Frank mi lega il ricordo della finale di Coppa Italia, la stagione regolare perfetta e la semifinale dei playoff. Mi ha insegnato ad avere uno sguardo tecnico su ogni situazione di campo.

La gestione del doppio impegno: per la prima volta ho affrontato campionato e coppa.

Con Stefano fui per la prima volta vice e a lui mi legano stima e amicizia. Ho imparato come si prende una squadra in corsa e come si affrontano le relative difficoltà. Abbiamo fatto un buon lavoro: non fosse stato per l’infortunio di Banks, saremmo andati ai playoff e avremmo potuto dare fastidio.

Mi ha fatto conoscere una pallacanestro diversa, quella vista con gli occhi del giocatore. Il Poz pensa ancora come il campione che è stato sul parquet e ha delle intuizioni che chi ha solo allenato non possiede. Mi ha regalato una doppia visione.

A lui devo l’attenzione ai dettagli e l’importanza di cercare il miglioramento tramite l’uso dei video: con Attilio registravamo le partite e ci soffermavamo sui particolari, lavorando tutti insieme. Ho capito che sono questi gli aspetti che fanno la differenza. È stata una lezione di basket continua.

Ho rubato qualcosa da tutti loro. Ora lo metto in valigia.

Gli infortuni. Siamo stati sull’otto volante per tutto il campionato: ogni settimana succedeva qualcosa.

Ringrazio tutte le persone che lavorano in questa società: per loro provo stima e affetto. Ringrazio Ferraiuolo e Vescovi, che otto anni fa hanno avuto il coraggio di puntare su un ragazzino di 19 anni come me. Ringrazio la mia famiglia, i miei amici, mio nonno soprattutto, che ora sta soffrendo per la mia partenza: mi hanno sostenuto in ogni mia scelta. Poi… posso fare un’aggiunta?

Vorrei tornare su Max Ferraiuolo. Mi dice sempre che sono un “ometto”: beh, gli rispondo che mi accontenterei di diventare un uomo con la metà dei valori che ha lui.