Varese-Bari: il commento prepartita di Andrea Confalonieri

De Luca e Mangia non sono ex, perché rimangono anche se vanno via

La storia non si cancella e in fondo non è né buona, né cattiva. Semplicemente è là (oggi è qui), scritta sui libri e – per chi lo possiede – nel cuore. C’è ex del Varese ed ex del Varese. Ma c’è anche chi non può essere considerato ex. «Un giorno tornerò a modo mio e compirò il mio destino, portando il Varese in serie A», disse Sogliano tra le lacrime dopo la semifinale persa con il Padova, pronunciando un giuramento di varesino dall’onore “siciliano”: piuttosto di non mantenere una promessa o una parola data, Sean sparirebbe. Lui è un “non ex”, nel senso che continua ad aleggiare nell’aria di Masnago, dipinto nelle facce e nello spirito della gente, nascosto nell’istinto vincente dell’ambiente e di certi giocatori.

Anche Devis Mangia non è un ex perché, come Sogliano, non passa ma rimane. Perché ha una qualità più unica che rara: è vero anche quando dà fastidio. Era vero quando, uscendo dal campo a Vado in serie D, faceva gestacci a cinquecento liguri inferociti. Era vero quando sulla panchina dell’Ivrea voleva battere il nemico Sannino giocando la partita come una finale, e oggi vorrà fare altrettanto con Bettinelli. Vero significa dare tutto se stesso, anche in maniera sbagliata.

Vero significa non trasformare mai i nemici in amici, o viceversa. Vero significa prendere un’astronave anche dalla luna per arrivare al funerale di Peo Maroso. Vero significa non tacere, né soprassedere, quando gli altri tacciono o soprassiedono. Essere veri, per Devis, è rispondere anche tra 32 anni quello che oggi risponde Fascetti a chi gli chiede, dopo 32 anni, quale fu la sua squadra più bella: il Varese dell’82 come la Primavera di Mangia. Sogni, non squadre. Sogni incapaci di invecchiare, ideali quasi irraggiungibili e irripetibili. Perché ci hanno fatto tornare bambini.

Anche De Luca è il Varese quasi per gli stessi motivi. Perché non ha mai rinunciato a un torneo della Rasa insieme agli amici, nemmeno da giocatore che scappava dall’Atalanta pur di esserci. Perché ha sempre seguito le partite allo stadio e al palazzetto in curva Nord. Perché di lui s’era già capito tutto al primo gol in serie B, in Triestina-Varese 1-1: Sannino lo butta nella mischia, gli avversari lo guardano e non gli danno un soldo bucato, così tappo e con quelle gambette. È in quel preciso istante che ti frega perché non ha paura di immaginare cose grandi, che tu non immagineresti mai, e poi di farle sul serio.