Varese, cambia oppure muori

Mancano identità, competenza, amore per la maglia. Chiamate Bulgheroni, Vescovi, Recalcati. E ascoltate

Andate a guardarvi on line il Corriere dell’Adriatico e fermatevi davanti alle lacrime, all’orgoglio, all’identificazione e al sogno racchiusi in quelle migliaia di mani di bambini, ragazzi, padri e nonni pesaresi che si allungano verso Austin “Darren” Daye. Almeno loro hanno una bandiera, un legame con il mito, un’idea di straniero nata nelle ceneri dell’anima e nelle radici di quella squadra che, solo a pronunciarla, fa venire i brividi: Scavolini Pesaro.

Non è colpa degli attuali dirigenti varesini se non possono schierare il figlio di Corny Thompson o Bob Morse, ma è colpa loro – massima colpa – se in tutto ciò che hanno deciso quest’anno e in gran parte dello scorso non c’è traccia di passione, fantasia, futuro, sfida, identità. Alla Pallacanestro Varese mancano un collante umano (ma pure tecnico) e un obiettivo che non siano quelli della sopravvivenza e della salvezza personale: questo vale per tutti,

dal presidente Stefano Coppa in giù, giù fino al general manager Bruno Arrigoni a ultimamente al coach Paolo Moretti passando per i quadri intermedi che si accontentano tristemente di assecondare a prescindere chi comanda, per finire a giocatori che paiono pescati a casaccio come numeri della tombola. Se quelli che arrivano, giocano, allenano, dirigono e poi se ne vanno da Varese fanno regolarmente la figura dei traditori, il problema sta innanzitutto in chi rimane e li ha scelti (sapete valutare gli uomini, prima dei giocatori o dei dipendenti, come fanno ovunque, soprattutto quando ci sono pochi soldi, quei pochi soldi sono di altri, e vanno spesi bene?).

Nulla e nessuno in questa squadra (società) sa rappresentare all’esterno l’amore per ciò che fa, per il basket, per la Pallacanestro Varese. Non ricordiamo una sola parola, un gesto, un scatto d’orgoglio che valesse la pena di segnalare dopo una vittoria come quella su Cantù (sembrava di aver battuto il Barcellona Pozzo di Gotto): come faranno a trovare gli argomenti giusti con una piazza che vuole sentir parlare di basket da persone che sanno di basket, dopo uno scandalo come la sconfitta di Pesaro?

Lo scandalo, signori dirigenti, signor allenatore e signori giocatori, sta in questo.
1) Austin Daye ha giocato e vi ha battuto devastato da problemi intestinali, e voi non avete saputo far altro che aggrapparvi pateticamente alla scusa e alle fatiche dell’impegno ravvicinato di Coppa (l’avete voluta fare voi, la Coppa: se pensavate di non avere le forze e le risorse necessarie per reggere il doppio impegno, mettendo a rischio la salvezza, bastava lasciar perdere).
2) Ramon Galloway aveva già piegato la maglia biancorossa in valigia, quella maglia che dovrebbe essere rispettata innanzitutto da chi comanda, prima di mandarlo a suicidarsi per 34’ sul parquet facendogli fare la figura del mercenario (se non sapete valutare le persone anche fuori campo, prevedendone le reazioni, anche emotive, cambiate mestiere).
3) Non aver capito che questa era una partita decisiva, e che l’avevi già vinta (se danno la colpa alla Coppa, non l’hanno capito). Risultato: 4 punti realizzati nell’ultimo quarto dopo i 51 totali realizzati contro Caserta, altro calcio nel sedere alla storia. Non siamo così certi che la Pallacanestro Varese riuscirà a salvarsi, evitando una caduta che potrebbe significare la sua scomparsa (non ci sono né le risorse, né il progetto, né le persone giuste per risalire dal cimitero degli elefanti che è stato aperto al piano di sotto), ma ci fidiamo della persona che – più di tutte – conosce il basket, il campionato, il pubblico e la vita di Varese: «Batti Capo d’Orlando tra due settimane a Masnago e ce la fai».

Siamo certi, però, che da questa dirigenza (non dal consorzio, esempio di fedeltà e attaccamento insieme allo sponsor Rasizza) si sono oppure si sentono allontanati, invisi o traditi in tanti, forse tutti tranne quelli che la sostengono e non la criticano a priori, con i risultati che abbiamo sotto gli occhi. Ma il passato è passato, e il presente passerà, quindi scriviamo ciò che molti pensano.
1) Avete in casa il padre nobile del basket, Toto Bulgheroni. Presentatevi da lui con il cappello in mano, chiedetegli consigli ed eseguiteli alla lettera, magari scusandovi pure se non l’avete fatto prima.
2) Avete in casa Cecco Vescovi, che conosce la pallacanestro, e la Pallacanestro Varese, meglio di voi (ma anche di noi, e di tutti): finitela lì una volta per tutte, chiedetegli scusa per come l’avete trattato, e ascoltatelo.
3) Avete in casa il futuro presidente, si chiama Charlie Recalcati. Muovetevi in fretta e fate ciò a cui siete allergici: affidatevi a chi ne sa più di voi.
4) Avete in casa un grande sponsor, Openjobmetis, e un rinforzo che – sotto, sotto – muore dalla voglia di aiutarvi: Gianfranco Ponti. Il consiglio è sempre quello: apritevi agli altri, togliendovi dai riflettori.

Ps: senza l’umiltà, senza la voglia di cambiare, senza le dimissioni pronte in tasca nulla di ciò potrà essere fatto. E, anche in caso di salvezza, la Pallacanestro Varese non si salverà.