Varese, ecco l’inno sepolto – VIDEO

Un cuore a 45 giri, il numero dei minuti di un tempo di partita, quando i recuperi non c’erano e i giocatori in campo rimanevano undici, al massimo entrava un altro uomo in nero davanti alla porta con sulle spalle un bel 12 e morta lì.

Un cuore rimasto pulsante per 46 anni, dal 19 aprile 1968, quando il disco marca Caruso con sul lato A “Dai… forza Varese” incominciò a battere forte, segnando l’epopea della squadra di Giuan Borghi, con il fenomenale settimo posto in A e la scoppola del 5-0 rifilata alla Juventus dell’allampanato Heriberto.

Paolo Celin è un super tifoso e un uomo dalla straordinaria forza morale, che ha saputo reagire al lutto peggiore, la perdita della figlia Paola, coltivando le sue passioni di sempre, in cima alle quali rimane il Varese, la squadra che ha sempre tifato e di cui ricorda le formazioni e i trionfi.

Così dai suoi cassetti della memoria balza fuori un mangiadischi Philips e un disco, quel disco, con una marcetta incalzante composta da una donna, Antonietta Calderoni Alexis, e le parole che esaltano la squadra incitandola ad attaccare sempre, come farebbe un plotone di lancieri.

Parole ingenue e retoriche, se si vuole, ma genuine e figlie del tempo, di quando l’inno di una squadra di calcio si buttava giù alla buona, senza preventive indagini di mercato, sondaggi sui gusti musicali e sugli eventuali interpreti, e soprattutto musichette finte e insipide, figlie dell’elettronica.

«Dagli spalti dello Stadio (maiuscolo!)/ s’innalza forte un coro/ “Dai su VARESE lanciati/ e all’attacco corri e va…”» è l’inizio dell’inno, cui segue un insistente ritornello a incitare gli undici in campo: «forza Varese… dai/ ce la farai», fino all’ultima strofa che termina con un «dai dai goal» e la segnalazione – sul retro della busca del 45 giri – dell’eco (si suppone dei tifosi estasiati, magari per una rete di Anastasi) «gooooaaal!».

Le parole poi incitano i ragazzi ad andare sempre all’attacco e a rimanere in serie A, perché lì brillerà una stella sempre più luminosa, a patto di giocare con calore e volontà. Come oggi, del resto.

A cantare la marcetta è il gruppo “The Old Boys Jazz Band” con tanto di Coro Alexis a rimpolpare l’armonia, e l’effetto è un po’ troppo marziale, forse anche un filino nostalgico, ma ci sta, e non vien voglia di ascoltare il di solito famigerato “lato B”, che riporta il titolo “Gioventù allegra”.

L’eccezionale recupero sonoro, che fa il paio con l’introvabile “extended play” inciso dal cumenda Borghi che si esibisce al piano suonando Chopin (mica bau bau micio micio), ha ispirato a Guglielmo Niada un documentario per immagini con quasi mezzo secolo di Varese calcio, dai fasti di capitan Picchi all’ultima battaglia di Brescia con il gol di Zecchin al 94’.

Naturalmente l’inno di Antonietta – autrice nel 1965 della musica di “Tom Tirlin Tom”, su parole del fotografo varesino Enzo Verduci, che concorse allo Zecchino d’Oro cantata da Carmine Cuomo – fa da sottofondo “eroico”, a ricordare ai tifosi di oggi quanta passione cordiale ci fosse per una squadra votata all’attacco e al rischio, corsara e predatrice, come il leopardo che un tempo campeggiava nello stemma.

Per vedere di nascosto l’effetto che fa, “Dai…forza Varese” si potrebbe sparare dagli altoparlanti del “Franco Ossola” alla prima bella sfida casalinga: chi c’era nel ’68 lo accoglierà con una lacrima e un sorriso.

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