«Volevo la finale a tutti i costi. Da ragazza leggevo Liala»

Premio Chiara - Con una raccolta di otto racconti, Valeria Parrella sfida gli altri finalisti Manzini e Pressburger

– «Troppa importanza all’amore (e altre storie umane)». Con questa raccolta di racconti è entrata nella terna finalista del Premio Chiara. Si tratta di otto racconti che esplorano la dimensione esistenziale in un insieme di registri, di situazioni e di contrasti. Tra i personaggi ci sono monache di clausura, una donna «mai stata brutta», un prigioniero in ergastolo e tanti altri.

Nei racconti non si parla solo di amore di coppia, ma di un’esperienza vasta che comprende anche l’amore religioso e filiale. L’amore certo che è importante, ma da un punto di vista letterario credo che se ne possa parlare solo per negazione. Non mi si fraintenda: da ragazza leggevo Liala. Piuttosto, descrivere l’amore per negazione significa ammettere che ha tante contraddizioni, cosa che emerge anche dalla scelta di scrivere racconti anziché una grande storia. Nel racconto “Esposti” contrappongo una suora di clausura, quindi la negazione del corpo, a una prostituta.

Esistono in letteratura tante opere di racconti concatenati. I miei non sono legati narrativamente tra loro, ma sono racconti composti nello stesso periodo, parlano di cose non dissimili. Un legame tra personaggi e luoghi, però, non c’è, tanto che spazio dal Sud al Nord Italia, e vado fino a Liverpool.

In questo libro non ci sono cenni autobiografici che vanno al di là dello sguardo. Se scrivo di qualcosa è perché mi interessa. Ogni tanto regalo ai personaggi un po’ della mia vita, anche solo il mio sguardo, ed è così che io entro nei diversi avvenimenti. La trama del racconto “Esposti” è di fantasia, ma la monaca che lo ha ispirato esiste davvero. La storia non è andata come ho scritto, ma quel personaggio è vero.

In prima battuta scrivere mi viene naturale, poi aggiusto. È possibile essere un bravo narratore, ma poi bisogna saper mischiare i generi e i linguaggi. Lasciare una parola scritta significa lasciare proprio quella e non un’altra. La ricerca formale è importantissima, io controllo tutto. Pensiamo all’espressione “spessi occhiali da presbite”. Se mi viene facile, di getto, significa che probabilmente l’ho già sentita da qualche parte ed è allora che mi domando: “Cosa lascio alla letteratura?” e cerco un altro modo di dire la stessa cosa. È questo, secondo me, ciò che fa di un narratore uno scrittore.

Il Premio Chiara è uno dei pochissimi concorsi letterari dedicati ai racconti. Piero Chiara, poi, è un maestro anche se è lontano dalla mia scrittura. Sono quindici anni che scrivo racconti e al Premio Chiara volevo arrivare a tutti i costi. Quest’anno, quando ho saputo di avercela fatta, ho detto “finalmente”. E poi gli altri due finalisti li conosco. Antonio Manzini è un amico di mio marito. Con Giorgio Pressburger ci siamo scritti un mare di lettere. Comunque andrà, sarà come un incontro tra amici.