Daniele Pecci svela il suo Bergman «Io, un progressista d’attualità»

GALLARATE Un testo che è considerato un’icona internazionale della complessità delle relazioni tra uomo e donna: “Scene da un matrimonio”, ritenuto uno dei capolavori del regista e scrittore svedese Ingmar Bergman, torna in teatro.
La riproposizione sulla scena sarà alle Arti di Gallarate martedì e mercoledì alle 21, all’interno della stagione di prosa dello storico teatro. A interpretare Giovanni, il “Johan” di Bergman, Daniele Pecci, già apprezzato interprete cinematografico in “Fortapàsc” di Marco Risi,

“Mine vaganti” di Ozpetek, “The tourist”, “Maternity Blues”, e in film e serie televisive.
Tra queste, in molti lo ricordano in “Il bello delle donne” e “Orgoglio”, ma anche nel cast internazionale di “San Pietro”, accanto a Omar Sharif, e “Giovanni Paolo II” con Jon Voight, nonché in “L’ultimo padrino” a fianco di Michele Placido, e “Crimini bianchi”.
Ed è proprio Pecci a parlarci di questo “Scene da un matrimonio” quarant’anni dopo il film.
Che cosa ci dobbiamo aspettare dallo spettacolo diretto da D’Alatri rispetto al film di Bergman?
Sicuramente il testo integrale, in una rilettura abbastanza “audace” non tanto sulla trasposizione testuale che, come dicevo, è integrale, quanto per il taglio interpretativo suggerito. Non abbiamo più una coppia svedese degli Anni Settanta, ma una presumibilmente italiana, anche se il riferimento non è mai esplicitato, e dei giorni nostri.
Come mai questa scelta?
Questo perché il pubblico potesse riconoscersi nel testo con maggiore facilità. Poi, la bellezza di un testo “classico” come questo è proprio vedere come battute di quarant’anni fa siano attuali ancora e anche se messe in bocca a “giovani”, e seppur in un contesto diverso. Il testo entra in grande empatia con lo spettatore, parlando di qualcosa che è vivo e vero ancora oggi. Inoltre il fatto che D’Alatri sia soprattutto regista cinematografico ha fatto sì che la nostra interpretazione fosse schietta, meno teatrale, meno artificiale, più diretta.
Lei sul palco è Giovanni, il Johan di Bergman…
Sì, il nome è stata una piccolissima variazione rispetto al testo originario. Così come la professione: oggi il professore universitario non avrebbe più avuto le caratteristiche sociali che rappresentava allora, quando l’opera è stata scritta. Qui diventa, seguendo l’impostazione che lo stesso Giovanni dà di sé nell’intervista con cui si apre lo spettacolo, un progressista benpensante, della borghesia, un geologo impegnato nelle energie alternative.

L’intervista completa sul giornale in edicola domenica 17 febbraio

s.bartolini

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