«Io, davanti a Francesco. Sentendomi a casa mia»

La grande emozione di Roberto Crespi, diacono permanente a Besozzo: una domanda al pontefice. «Mi sono sentito compreso e accolto». È sposato, ma serve la comunità

«È stato bello sentirsi compresi dal papa nella sostanza di quello che viviamo». Si riassume così quanto ha vissuto , diacono permanente del decanato di Besozzo, sabato al cospetto del Santo Padre in visita pastorale alle terre ambrosiane. È stato lui il prescelto tra i 143 diaconi permanenti della diocesi per porre una delle tre domande cui Bergoglio ha risposto in Duomo a Milano durante il dialogo con i Ministri ordinati e la Vita consacrata. «Da una parte ero emozionante e dall’altra sereno perché mi sentivo al posto giusto. Avevo un compito da portare avanti e l’ho fatto con entusiasmo, ricevendo una risposta tutt’altro che formale e scontata».

Confrontandosi con del decanato Gallarate e , superiora delle Orsoline di san Carlo, che hanno parlato prima e dopo di lui «ci siamo detti quanto fosse bello ciò che ci diceva perché non erano discorsi già conosciuti o incomprensibili, ma legati alla sostanza di quello che viviamo». A Roberto il compito è stato affidato un mese e mezzo fa. «Non sapevo che il taglio dell’incontro fosse dialogico. Formulare la domanda non è stato semplice. Ci ho pensato parecchio, ma alla fine è stata approvata».

Con le sue parole Crespi ha illustrato brevemente al pontefice la storia del diaconato, entrato nel clero ambrosiano nel 1990, e formato oggi da un piccolo esercito di uomini «che vivono pienamente la propria vocazione, quella matrimoniale o quella celibataria, ma vivono anche pienamente il mondo del lavoro e della professione e portiamo quindi nel clero il mondo della famiglia e del mondo del lavoro». Un servizio completamente gratuito che si affianca alla vita che molti uomini, padri di famiglia o single, conducono quotidianamente.

Il numero di diaconi è sempre in crescita. «Io sono nato nel 1945, quando sono diventato diacono permanente avevo già 4 figli “grandini” e nel proprio ‘90 è arrivata la mia prima nipote» racconta Crespi. Ora sono 143 con 32 in formazione. «Sono dislocati in tutto il percorso che dura 6 anni. Per mettersi a servizio della diocesi, alla preparazione personale si affianca quella culturale, una sorta di laurea breve in teologia». Una scelta personale che si pone come grande risorsa per la Chiesa meneghina: «Può esserlo, deve esserlo e vuole esserlo. Oggi i sacerdoti diocesani sono circa 1871 con il 39% sopra i 70 anni. Noi aumenteremo come numero. Sarà interessante vedere come sarà il futuro».

Roberto specifica che il ministero di prete e diacono sono molto differenti.

«Riassumendo un ampio discorso possiamo dire che il diacono non celebra l’eucaristia, non confessa e non dà l’unzione degli infermi, sono compiti esclusivi del prete. Può, invece, occuparsi di battesimi, matrimoni, funerali, predicare, senza la celebrazione dell’eucaristia. Questa è la parte visibile a tutti, quella consistente e difficile da cogliere».

Alla base c’è la dimensione del servizio, «dall’organizzazione della catechesi all’accompagnamento degli adulti, ma soprattutto dovrebbe essere un modello di servizio disinteressato, gratuito e generoso per le necessità della Chiesa e del popolo di Dio».

L’idea è quella di creare una comunità responsabile di sé che abbia una propria identità a prescindere dal cambiamento di chi l’accompagna. «Venendo da secoli di tradizione passare a una nuova presenza non è semplice. Ricordo che il Cardinal Martini, che diede impulso a questa esperienza, ci disse: “non mi aspetto nessun risultato concreto prima di 10 o 20 anni”. Abbiamo aperto una strada, speriamo che le nuove leve ne vedano i risultati».