Radicali varesini, non vendete i ricordi

L’editoriale di Mario Chiodetti dedicato al movimento radicale di Varese

I nipotini vendono i mobili del nonno, credenze lunghe e strette, tavolini bassi, poltroncine di plastica dai colori psichedelici, perfette per le pareti tappezzate optical style, il Brionvega stereo di Achille Castiglioni e la fotografia del fondoschiena di Donna Jordan, fasciato da jeans blasfemi, scattata da un giovane Oliviero Toscani.
Dai cassetti però non arriva il solito sentore di naftalina, ma quello amarognolo e inconfondibile di qualche antico spinello, fumato in compagnia mentre si discuteva di aborto e divorzio,

di come arginare le spese militari e convincere i giovani all’obiezione di coscienza.
Anni Settanta, il pacifismo e la non violenza, i diritti degli omosessuali, la rosa nel pugno del Partito Radicale mai così legato all’immagine del leader Marco Pannella e ai suoi proverbiali scioperi della fame, che anche noi ragazzini minacciavamo se papà non ci lasciava uscire col motorino.
In un mondo politico di democristiana monocromia, i radicali – non ancora chic – apparivano ai “benpensanti” come una pittoresca armata Brancaleone che si batteva contro tutto e tutti, facendo ostruzionismo in Parlamento, affiggendo manifesti corrosivi, promuovendo referendum e addirittura la liberalizzazione della droga e del sesso in nome di uno Stato laico e liberale.
Intenti che non potevano lasciare indifferenti molti ragazzi arrivati dal ’68, ma anche intellettuali di peso, come Elio Vittorini, Antonio Cederna, Fernanda Pivano e perfino Oriana Fallaci, fiancheggiatori delle iniziative radicali contro le guerre e gli armamenti, le basi Nato e la violenza sulle donne, allora normali e oggi così remote, epifanie di un mondo lontano, segnato da megafoni e ciclostilati in proprio, infiniti dibattiti mescolati al fumo azzurrino della “mariagiovanna”.
Vecchi arnesi rivoluzionari, quinte di un teatro ormai abbandonato e polveroso, pezzi di carta colorati che un tempo garrivano come bandiere, oggi trasformati in vintage di qualità, da vendere al miglior offerente, a chi cova una nostalgia più forte o vuole un cimelio da mostrare agli amici e appendere in salotto.
L’associazione “Enzo Tortora” di Milano, forma ultima della vecchia sezione di Porta Vigentina, mette infatti all’asta decine di manifesti, locandine e fanzine del Partito Radicale che fu, quarant’anni di storia e di provocazioni, a partire dall’immagine dell’autonomo con la P38 in via De Amicis a Milano e lo slogan «disarmiamoli con la non violenza», fino alla finta scatola di aspirina con la scritta “Hashish, delta-9-tetraidrocannabinolo”. Le nuove leve del partito non si lasciano intenerire dai vecchi tadzebao e per finanziare la sezione svendono un pezzo di storia e di costume dell’Italia, del tempo in cui al liceo dire a un compagno «sei fuori?» echeggiava a una sospetta appartenenza al Fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano, che all’asta milanese è presente con un manifesto emblematico, due figure senza volto e la scritta: «Sei uno di quelli? Con il Fuori riconquista la tua identità».
Di grande forza espressiva è il volantino con la fotografia in bianco e nero di papa Wojtyla su uno sfondo di silhouette femminili rosse e lo slogan «Lui non pensa alle donne vittime dell’aborto clandestino. Pensaci tu», creato da Emma Bonino e Adele Faccio, allora in prima linea sulla questione femminile.
Ricordi e rimpianti, e la frase di Pasolini che meglio di ogni altra riassume quel percorso politico: «Cari amici radicali, non dovete fare altro che continuare a essere voi stessi, il che significa essere continuamente irriconoscibili».