Varese, ora ci vuole un gol Lo segneremo tutti insieme

GENOVA La Samp ha paura, Marassi ha paura: giocava in casa, vinceva 3-2 e perdeva tempo invece di provare a fare il quarto. Ci basta un gol, lo segneranno i diecimila di Masnago. Jasmin Kurtic come Daniele Buzzegoli: finisce sotto la curva, rotea le mani selvaggiamente e urla «Non è finita, ci rivediamo».

Lo aveva fatto il capitano della promozione in serie B dopo la sconfitta per 1-0 nella finale di andata a Cremona, poi ribaltata al Franco Ossola. Non è finita, popolo del Varese. Ci rivediamo tra due giorni: tocca a noi e tocca a voi segnare quel gol e scrivere la parola fine a quest’avventura, disegnando la serie A nel giorno più eroico per questi colori. È tutto nelle vostre (nostre) mani. Dobbiamo buttarla dentro. Abbiamo già iniziato a farlo. Da trentasette anni. Dall’Eccellenza. Loro in A ci vanno sempre, noi ci andremo sabato.

Lo scenario è perfetto, quello di sempre: loro, e tutti quelli prima di loro, convinti di essere già promossi e noi a giocarci tutto senza Zecchin, Troest e forse senza Terlizzi. Ma ogni assenza, per noi, è sempre stata più forte di una presenza. Perché ci stringe, perché ci esalta. Siamo già superiori: nel gioco, nella corsa, nella fame. In tutto, tranne in una cosa. Quel buco che ha un nome e cognome: l’infortunio di Terlizzi.

Caro Christian, caro Franco Baresi del Varese: stringerai i denti, tornerai e ci riporterai a casa. Lassù ci aspettano da tanto.
 
Ribalteremo il destino, ieri lo avevamo contro: il giocatore più vincente del Varese (Terlizzi) mette male il piede prima del fischio d’inizio e da questo buco in mezzo all’area s’infilano tre gol tre. Puoi giocare la finale di Coppa dei Campioni e vincerla senza Franco Baresi.

Il Varese in campo ha fatto solo una cosa, la più difficile, la più ardita, la migliore: ha giocato per il gol, ha giocato per giocare. Non poteva fare altro. Lo ha fatto anche la Sampdoria, ne è uscita la finale delle finali. Infinita, a tratti indescrivibile in uno scenario maestoso. S’è visto tutto, perfino il 3-2 contestatissimo da Maran e dal Varese: il guardalinee decide di assegnare la rimessa ai biancorossi, l’arbitro la inverte e da lì nasce il gol. Ma alla fine la sensazione è che non abbiamo vinto i più forti. E lo sanno anche i sampdoriani.

Li fregherà il fatto che il Varese è un sentimento. È per quello che vince sempre le gare della vita. Perché è un modo di essere, un atteggiamento, un ideale costruito dal niente e per questo indistruttibile. I doriani alla fine urlavano «Benvenuti all’inferno», ma non sanno che noi veniamo proprio da lì, dalla trincea di Nuoro dove ci chiamavano animali, dai gradini gelati di cemento di Calcio, dallo stadio dell’oratorio dietro il campanile. Non ci spaventano, a spaventarli siamo noi.

La Sampdoria ieri è stato un bel film già visto, con due o tre assi e nient’altro. Il Varese è tutto il resto, è cielo, è terra. E ci fa tornare bambini, con quel suo calcio sparato a tutto volume. Ragazzi, in tasca avete le chiavi del paradiso: è l’ora, spalancate quelle porte.

Andrea Confalonieri

s.affolti

© riproduzione riservata