Gianmarco Pozzecco: «Caja sta facendo un miracolo. Varese, ora sogna i playoff»

Ancora emozionati per il derby vinto con Cantù, ci voleva il Poz per regalarci altra magia: «Attilio aveva costruito fin dai primi allenamenti qualcosa che calzava a pennello per quei giocatori»

L’apprendistato croato di Gianmarco Pozzecco prosegue con ottimi risultati da due stagioni, ma il cuore e l’orecchio spesso e volentieri tendono verso casa. La distanza aiuta a cementare l’amore, lo rafforza, acuisce i sentimenti, allo stesso tempo però genera sofferenza. La sua vita da vice dell’amico Veljko Mrsic è altamente didattica, formativa, e allo stesso tempo stimolante e colma di successi. Però il suo cuore sanguina ancora per Varese, eppure dopo che hai girato tutto il mondo sembra quasi strano innamorarsi di una cittadina ai piedi dei monti. Eppure, Varese sa essere tutto il mondo, tanto grande da perdersi, e Gianmarco lo sa. Ha dovuto allontanarsi per diventare grande, per crescere, per capire gli errori e per mettere le basi per un futuro da allenatore. Il giorno dopo il derby vinto a Desio, contro la Cantù di Charlie Recalcati, Poz esulta da tifoso biancorosso a Zagabria.

Domenica sera giocavamo anche noi contro il Partizan, però la prima cosa che ho fatto al termine della nostra partita è stata andare vedere il risultato di Varese. E sono davvero contento, perché Varese sta giocando molto bene. Ho ascoltato le dichiarazioni di Recalcati e, pur non avendo visto la partita, so che sono più i meriti di Varese che i demeriti di Cantù. Come successo nei mesi dopo le mie dimissioni, Attilio Caja sta compiendo un mezzo miracolo. Forse mezzo miracolo è esagerato, lo ammetto, però chiaramente ha migliorato in entrambi i casi in modo esponenziale il modo di giocare ed il valore della squadra, ed automaticamente anche il rapporto vittorie/sconfitte. Per Cantù ci sta perdere un derby contro questa Varese, che sta facendo veramente bene e non mi stupisce. Ero convinto che Varese potesse farcela.

Anzitutto sono convinto che Varese continuerà a fare una grande stagione ma il bello nello sport è proprio quello di poter sognare dopo aver sofferto tanto, quindi perché non sognare i playoff? Non c’è nulla di sbagliato a farlo. Ed in questo caso sì, sarebbe un miracolo se Attilio ce la facesse. Sono contento per il Toto, anche se non l’ho ancora chiamato e mi cospargo il capo per questo, sono particolarmente stronzo. Se lo merita Toto,

così come se lo merita il mio amico Alberto Castelli, se lo meritano in tanti a Varese. Io con Attilio sono stato molto bene, abbiamo instaurato un bellissimo rapporto e lui ormai sa che lo seguo, perché sono contento e quando qualcuno fa vincere Varese entra direttamente tra i miei preferiti. C’è anche da dire che meritava la riconferma dopo quei mesi al posto mio, ai tempi però Coppa fece dei ragionamenti diversi prendendo Paolo Moretti, che non era una scelta sbagliata. Attilio aveva già fatto molto bene e sono contento abbia confermato il grande lavoro anche stavolta.

E non mi stupisce perché ricordo perfettamente ciò che Attilio aveva costruito fin dai primi allenamenti con loro ed era qualcosa che calzava a pennello per quei giocatori. Li aveva disposti in campo come non ero riuscito a fare io, perché era stato più bravo di me, forse lo è in assoluto, Aveva costruito un sistema che funzionava per le caratteristiche di Eyenga, di Maynor e di Jefferson. Di questa banda ho allenato anche KK, Kangur, una persona che adoro alla follia e che sono sicuro che se non si fosse fatto male sarei ancora a Varese. È un discorso che non ha senso, lo so, però è un giocatore che adoravo ai tempi, lo reputavo indispensabile. Quando è tornato a Varese Caja, al di là delle prime due o tre partite, ero certo che potesse fare bene ed infatti è riuscito a rimettere in piedi quello che aveva costruito due anni fa.

Charlie ed io siamo molto diversi, credo sia abbastanza evidente, però mi piace molto pensare che abbiamo delle cose in comune, ne sarei orgoglioso. Lui ha vissuto una situazione analoga alla mia ed ha capito il perché io abbia vissuto quella partita in quel modo lì, mi fa enormemente piacere. Charlie è un maestro, una persona vera, ha un rispetto delle emozioni e delle persone che va al di là del successo personale e per un allenatore è molto difficile da mantenere come principio. Riuscire a mettere davanti ai risultati il proprio modo di essere e i proprio principi non è semplice. Spesso da allenatore ti trovi a dover fare scelte poco rispettose, però le fai perché pensi che possano darti la possibilità di vincere o di migliorare. Sei dipendente da questo. Charlie invece allena e non si fa condizionare così tanto dagli eventi, ha rispetto delle persone, dal primo giocatore fino al fisioterapista, basta vedere che rapporto ha con il Sandro Galleani. Sono contento dunque che abbia detto questo perché mostra la verità del sentimento di fronte a tanti allenatori che sono così condizionati dal vincere che perdono il rispetto per le cose e le persone. Mi piacerebbe tornare ad allenare perché, guardando avanti, preferirei perdere una partita rimanendo però me stesso.

Bene, siamo in finale di ABA League avendo battuto il Partizan. Probabilmente troveremo la Stella Rossa. Il problema grosso è che si è infortunato Marko Arapovic, si è rotto il tendine d’achille e starà fuori per sei mesi. Umanamente, prima che sportivamente, mi spiace tantissimo. Ci mancherà in campo, ma vedendolo a terra l’altra sera mi sono accorto di quanto gli volessi bene, ci sono rimasto male. Sono andato a trovarlo e gli ho detto quello che penso: che gli infortuni sono delle occasioni, delle esperienze che tutti i grandi giocatori hanno attraversato. Io mi sono fatto male a Varese nel 1994 e se esistesse un modo per tornare indietro e qualcuno mi desse la possibilità di non farmi male, rifiuterei questa ipotesi. Pur togliendomi qualcosa sul campo, l’infortunio mi ha dato molto dal punto di vista psicologico. Mi sono reso conto di quanto amassi la pallacanestro, nonostante ne fossi già convinto. È un’esperienza che ti fortifica.

Mi piacerebbe mettere in pratica ciò che ho imparato al fianco di Mrsic, ma allo stesso tempo mi piacerebbe continuare a lavorare con lui. Però è presto per pensarci e non lo dico perché voglio nascondere i miei programmi, ma perché effettivamente è presto per parlarne. E a me non è ancora arrivata un’offerta irrinunciabile. Tornare a fare il capo allenatore ora, forse, sarebbe un po’ più semplice rispetto a prima. Non so se tornerò subito a fare il capo allenatore, non l’ho ancora deciso. In questi 2 anni non ho smesso un attimo di imparare, pur avendo una responsabilità inferiore rispetto al ruolo di coach. Paradossalmente è più didattico fare il vice e, se devo essere sincero e senza falsa modestia, se c’è una parte della pallacanestro che conoscevo meno è quella analitica. Ho avuto la possibilità di migliorarmi, e nonostante questo ho ancora ampi margini . In questo momento però non ho ancora deciso cosa farò, perché adesso non c’è nulla di così concreto. Sono davvero molto sereno, questa è la pura verità.