Quella coppa, alla fine, l’avremmo voluta tutti. Ma questa volta non ci sarà un “anno zero”

Il commento, dopo la sconfitta della Openjobmetis Varese in finale di Fiba Europe Cup, del nostro Francesco Caielli

Il piede sulla riga di Cook. Il ginocchio di Sacchetti. Il 18-0 di Siena al Forum. Il polpaccio di Dunston. Il fallo criminale di Davies sul tiro da tre di Theodore. C’è sempre qualcosa che si mette tra Varese e la vittoria, tra una generazione di tifosi e il loro sacrosanto diritto di festeggiare qualcosa. Pur di scendere in piazza per far vedere a tutta Europa quanto diavolo siamo belli, ci siamo tutti convinti – anche noi,

anche noi – che questa coppetta fosse l’Eurolega. E non è stato difficile crederlo, perché ci è sembrata bellissima e irraggiungibile mentre la guardavamo tra le mani dei tedeschi che la sollevavano. Quanto l’avremmo voluta, quella che per tanti mesi abbiamo snobbato e preso in giro tra alzate di spalle e palazzetti deserti. E quanto sarebbe stato bello sollevarla a Masnago, se soltanto la Fiba avesse deciso di assegnare a Varese l’organizzazione delle Final Four (e invece le ha organizzate Chalon, e ci son rimasti talmente male per la scoppola in semifinale che poi si son messi a tifare per Francoforte: poveretti). In queste righe, ve lo diciamo subito, non troverete smancerie. Niente roba del tipo “Eroi” oppure “Grazie lo stesso”. Le finali sono fatte per essere vinte, perché chi arriva secondo non se lo ricorda mai nessuno. Non c’è del buono da tirare fuori dalla partita con Francoforte, ma ci sono dei segnali. Il primo, inconfutabile: per Varese al momento non c’è un allenatore migliore di Moretti, e se c’è non ce lo si può permettere. C’è tanto di suo (il resto è farina di Wright) in quello che è successo a questa squadra negli ultimi mesi. Il secondo, altrettanto importante. Questa squadra non va smantellata: ci sono ancora dei giocatori che non c’entrano nulla, altri che non hanno senso (non faremmo follie per confermare Davies, dovesse partire Wayns ce ne faremmo una ragione). Ma c’è un nucleo dal quale ripartire: Wright, Cavaliero, Ferrero, Kuksiks, Campani.
Il terzo. che è ancora lì da vedere. La piazza, quella piazza: che parla da sola, che chiede a gran voce, che merita qualcosa. Simbolicamente lì, sotto la sede della Pallacanestro Varese. Il quarto. Grazie mille, signor Faye. Avevamo detto, quando esplose la bomba della sua positività all’antidoping, che Varese l’avrebbe pagata. Ed eccoci qui: nella finale con Francoforte sarebbe servito, sarebbe stato decisivo. Sì, con lui sarebbe andata diversamente. Grazie mille di nuovo. E adesso? Ai playoff non ci pensiamo, il futuro passerà da scelte societarie importanti che l’orgasmo di coppa non ha rinviato e influenzato. Però, per la prima volta da tanti anni, si vede una strada da percorrere: chiara, pulita. Diteci che stavolta non sarà un altro “anno zero”. Diteci che non sarà così.