Siamo dei sopravvissuti Paura e soldi, mai avuti

Dai nemici che si battono da soli ancora prima di giocare come Criscitiello agli ex dirigenti che come zitelloni inaciditi sputacchiano su tutto quello che, da quando non ci sono loro, continua a vivere lo stesso (chi non dice prima di tutto «forza Varese» dovrebbe evitare anche di iniziare a parlare con i giornali), dai conti in rosso ai procuratori che tengono per il bavero intere squadre, dalle penalizzazioni arrivate o in arrivo all’ansia del mercato: il Varese per noi e per i suoi tifosi è l’esatto opposto di ciò, tutta un’altra storia.

Il Varese è come una madre o un padre sopravvissuto a morte certa: dopo le sette mazzate consecutive che lo avevano già seppellito in serie C e dopo l’iscrizione salvata per la punta dell’ultimo capello, ogni allenamento e ogni partita che riusciamo a giocare è la cosa più bella che ci possa capitare nella vita. Anche solo il pensiero di poter camminare al buio verso lo stadio illuminato dai lampioni già accesi per Varese-Spezia,

ci appare come una conquista. Viviamola così: come se stasera potessimo abbracciare per un’altra volta, forse l’ultima, la persona più cara dopo averla data già per persa. Diamo tutto quello che abbiamo in questo abbraccio. Apprezziamo ogni momento come un regalo come riesce a fare Lupoli quando corre sulla fascia in settimana e il sabato, nemmeno fosse Tardelli alla finale Mundial: un anno fa lo avevano umiliato spedendolo a giocare in Primavera e costringendolo a segnare tre gol contro i bambini del Pescara, adesso vedersi titolare accanto a Neto Pereira deve riempirgli il petto d’orgoglio, pronto a tutto e a toccare il cielo nelle piccole cose dopo avere perso persino la dignità. È lui il secondo acquisto migliore perché incarna la possibilità sua e nostra di esserci ancora, mentre il migliore in assoluto è Bettinelli. Non sappiamo se avverrà grazie ad Abodi o a Tavecchio, ma sappiamo certamente che gente come Giancarlo Giorgetti ha perorato la sua causa, vincendola: il Betti potrà allenare in serie B grazie a un a deroga che non era dovuta né scontata. Con lui su quella panchina non ci sarà soltanto un allenatore ma l’indole del Varese a non abbassare mai la testa, e anzi l’istinto inafferrabile o l’esatta trasposizione umana del bianco e del rosso: è quando tutto sembra perduto che i veri valori emergono e trasformano la sofferenza in una grande gioia. Tre o dieci punti in meno non contano se hai dentro qualcosa in più: nella testa e nelle vene di giocatori e tifosi che s’approcciano al campionato questo “più” c’è. È il “più” di chi allenerebbe o tiferebbe il Varese anche in Eccellenza, preferendolo a qualunque altra squadra. È il “più” racchiuso in un’immagine grandiosa di qualche tempo fa: Stefano Bettinelli senza squadra e senza stipendio seduto tutti i pomeriggi insieme all’amico Filippo Brusa al bar dell’Esselunga di Induno a sognare il Varese in serie A. Non aveva più nulla, ma aveva già tutto: il sogno, la passione e l’amicizia, le uniche cose che mancavano veramente a questa squadra negli ultimi anni.

Mancava «il Varese come modo di vivere e soffrire per poter lavorare», «il Varese a cui abbonarsi a occhi chiusi senza sapere chi compreremo o gli obiettivi», «il Varese da condividere con gli altri» come ci ha scritto, nel messaggio più bello arrivato in questi giorni, Lara.

Andrea Confalonieri

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