VARESE (m.tav.) Dopo l’Angolo di Cielo, il bar di via Sacco acquistato due anni fa dal giovane Weiwei Chen, è la volta del Caffè Leoni di viale Milano. Il titolare, da tre setimane, è l’altrettanto giovane Mirko Ye, 31 anni, nato a Zhe Jiang, ma residente nel Paese da 13 anni. Prima di arrivare in città gestiva un bar a Ponte Tresa. Oggi, è dietro il bancone del Caffè Leoni.
«Ho la passione di lavorare nei locali – spiega Mirko – un settore che comunque non risente molto della crisi. Da lavorare c’è sempre. E poi abbiamo in mente di ampliare l’offerta degli apertivi, così da attrarre maggiore clientela ed offrire un servizio alla cittadinanza». Insomma, la rivoluzione culturale dei bar va avanti. Se fino a qualche decennio fa i pochi cinesi presenti a Varese gestivano esclusivamente ristoranti etnici, oggi si stanno ampliando ed arrivano anche a gestire attività tradizionali.
Al Caffè Leoni, tra l’altro, sono rimaste a lavorare anche le cameriere di prima. Un altro segno di integrazione, che mostra come le attività che hanno cinesi come proprietari non vedano più esclusivamente cittadini dello stesso Paese essere dipendenti.
Così anche la clientela non cambia. Addirittura, all’Angolo di Cielo, per citare il primo esempio, la maggior parte della clientela è costituita dai ragazzi della scuola europea. Un bar gestito da un cinese, con clienti italiani, ma anche danesi, inglesi tedeschi e di altri Paesi europei. Segno di integrazione, o segno dei tempi? Di sicuro, il dato certo è che gli italiani tendono ormai a mollare le attività commerciali quando possibile. L’unica eccezione a Varese è la zona della Piccola Brera, dove i locali, ricercati e di tendenza, continuano ad aprire e ad avere vita facile. Ma è un’isola. Intorno, si tende a vendere.
e.marletta
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