Una telefonata breve, agghiacciante. «Ho fatto una minchiata, ho ucciso mia moglie». Così Vincenzo Gerardi, 57 anni, confessava l’omicidio della moglie Teresa Stabile lo scorso 16 aprile. Lo fece con una chiamata al cellulare di un amico carabiniere, fuori servizio, che accorse immediatamente sotto casa insieme a un altro collega. Teresa era già a terra, accoltellata brutalmente. Vincenzo fu trovato poco dopo, in un campo di via Torino, con un pugnale ancora stretto in mano.
Autopsia e accuse: almeno 15 coltellate, tre al cuore
La consulenza medico-legale depositata in questi giorni ha confermato quanto già apparso evidente: una violenza estrema, feroce, con almeno quindici colpi inferti, tre dei quali al cuore. Il pubblico ministero Ciro Caramore si prepara ora a chiedere il giudizio immediato. Ma più dei dettagli clinici, è il contesto a raccontare una tragedia annunciata, maturata in un clima di paura e sopraffazione.
Anni di botte e umiliazioni, mai denunciati formalmente
Teresa, originaria di Samarate, aveva subito per anni vessazioni e percosse. L’uomo era geloso in modo patologico, sospettando addirittura relazioni omosessuali tra la moglie e le sue amiche. I figli hanno riferito di episodi traumatici, come quando la donna veniva sollevata per un orecchio o rincorsa per essere picchiata. Una volta fu salvata dall’intervento del padre e del figlio, che fermarono fisicamente Gerardi. I carabinieri intervennero, ma Teresa non denunciò. La paura e la speranza che qualcosa cambiasse prevalsero.
Separazione e rabbia: la miccia finale
Da sei anni la coppia viveva da separata in casa: lui in camera da letto, lei sul divano. A dicembre, Teresa si trasferì dai genitori e avviò le pratiche legali per la separazione. Da quel momento, l’ossessione di Gerardi si fece più cupa. La sua rabbia colpiva anche uno dei figli, picchiato con schiaffi, calci e persino con bastoni, fino al punto che madre e figlio furono costretti a dormire in auto per sottrarsi alla sua violenza.
Il 16, una data simbolo della follia
A inchiodare Gerardi anche una lettera scritta ai figli a marzo, in cui dichiarava le sue intenzioni. Una sorta di testamento delirante in cui fissava il “16” come giorno fatale: il compleanno della moglie, il giorno della lettera dell’avvocato, e – secondo lui – quello della fine di tutto. Scrisse che l’avrebbe “stesa a terra”, che Teresa «non aveva capito a cosa andava incontro». Una confessione di premeditazione, lucidissima nella sua follia.
Tre richieste d’aiuto, nessuna tutela reale
Restano ora interrogativi pesanti sulle richieste d’aiuto ignorate. Teresa si era rivolta almeno tre volte ai carabinieri. Sono in corso accertamenti per chiarire se le valutazioni fatte da chi doveva proteggerla siano state sufficienti o se si poteva – e doveva – fare di più.
Una storia di dolore e silenzi che si è trasformata nell’ennesimo femminicidio. Una tragedia che forse si poteva evitare.