BUSTO ARSIZIO In tre, in nove metri quadri; tre brande una sopra l’altra, un tavolo e un bagno che ospita anche la cucina. Senza separé. «Dobbiamo imparare a convivere, e a sopravvivere», allarga le braccia Mauro Calabrese, 51 anni da otto anni recluso nel carcere di Busto Arsizio, maglia nera per sovraffollamento tra gli istituti penitenziari italiani: quasi 400 detenuti per 167 posti liberi. Ieri mattina la
stampa ha partecipato al sopralluogo all’interno della casa circondariale insieme all’europarlamentare del Pdl Lara Comi. Dopo la sentenza della Corte Europea di Strasburgo che ha accolto il ricorso di sette carcerati di Busto e Piacenza per «trattamento inumano», la direzione ha aperto del porte dell’Istituto e ha permesso ai giornalisti di accedere ai piani superiori, per visitare una delle quattro sezioni con le celle.
Sopra l’area sociale, dove ci sono gli spazi in comune, le aule per l’alfabetizzazione, la palestra e la biblioteca, si entra nel cuore pulsante del carcere, dove i detenuti dormono, mangiano e passano gran parte della loro giornata. Nel lungo e stretto corridoio si nascondono 26 celle per 78 detenuti: «Qui ci viviamo in tre, ma sarebbe omologata per una persona. È dura, molto dura». Mauro Calabrese ci dà il benvenuto nella sua stanza. «Cerchiamo di tenerla in ordine, ci dovrò rimanere fino al 2025». Il muro della cucina è stato decorato con della tappezzeria di riciclo: la turca è lì a pochi metri di distanza. Il detenuto si ritiene comunque tra i fortunati: nelle altre tre sezioni le celle non sono aperte di giorno, se non per le 4 ore d’aria; qui ci vivono i detenuti che non sono passati in giudicato. La conseguenza della lungaggine dei processi. Mauro ha due figli di 25 e 19 anni, li vede ai colloqui. «Mi alzo alle 5.30, alle 7.30 vado in cioccolateria dove lavoro fino alle 16.30, poi torno in camera. Ci cuciniamo qualcosa, leggiamo e guadiamo la tv».
Sandro Canclini è nella stessa cella da tre anni: «Adesso sono con italiani, ma ho convissuto con persone di altre nazionalità, ho imparato anche nuove lingue, ci sono anche lati positivi». I detenuti si ammassano vicino alle porte; uno di loro si lamenta con Lara Comi, è insoddisfatto di quello
che fanno i politici. Lui arriva dal Marocco e vorrebbe tornare nel suo Paese. Ma i costi per l’espulsione sono alti. Comi ha annunciato che presenterà un’interrogazione in Parlamento per agevolare l’espulsione verso i Paesi d’origine, applicando il diritto di “Libera Circolazione” e chiedendo la corresponsabilità economica all’Unione Europea.
b.melazzini
© riproduzione riservata