Botte per 30 anni alla famiglia E in Aula minaccia i testimoni

Trent’anni di botte a moglie e figli: a processo insulta e minaccia i testimoni. Tanto da costringere i giudici ad allontanarlo. Lui, operaio albanese di 56 anni, varesino da decenni, perfettamente integrato.

Una bella moglie, tre figli, l’ultimo da poco maggiorenne. Un padre padrone, un marito orco secondo l’accusa che nel suo usare violenza ha sfiorato il campo delle sevizie. La famiglia si era ribellata nell’agosto scorso: precisamente il 28 agosto. Giorno in cui la moglie, accompagnata dai tre figli, si è presentata in questura raccontando tutto.

Un racconto dell’incubo iniziato nel 1986: l’uomo infatti aveva iniziato a picchiare la sua giovane sposa subito dopo le nozze. In un passaggio da pelle d’oca la donna ha raccontato ai poliziotti della squadra mobile della questura di Varese: «Faceva parte della nostra cultura. Così non ho detto niente. Non ci facevo caso».

Una cultura che, per fortuna, non appartiene ai tre figli della coppia: sono stati loro, infine, a prendere la madre e a portarla davanti agli uomini della polizia di stato. Una sorta di fuga. La famiglia si trovava infatti tutta in vacanza in Albania. La goccia che ha fatto traboccare il vaso ha una data precisa: 25 agosto 2013. Quando cioè la donna è stata legata al letto dal marito, bendata e picchiata selvaggiamente.

Nelle carte dell’inchiesta si scoprono dettagli raggelanti: l’operaio, che fuori da casa è persona educata e gentile, tra le mura domestiche non si è fatto scrupolo per trent’anni di utilizzare per i pestaggi anche bastoni e cinghie. Contro la moglie e contro i figli: si trattava di un metodo educativo. E non sbagliava la moglie quando parlava di “fatto culturale”. Lei che veniva picchiata per una gelosia immotivata.

I figli che venivano a loro volta bastonati a fronte di uno scarso rendimento scolastico oppure se non avevano dato una mano in casa.

Cause scatenanti ordinarie, che diventano oggetto di discussione in ogni famiglia, con punizioni che erano violenti abusi. Ieri mattina l’operaio (le cui generalità non vengono riportate per una sola ragione: si renderebbero identificabili anche le vittime), che è stato arrestato lo scorso 2 settembre a Malpensa appena atterrato dall’Albania e da allora è in carcere, ha dato prova del suo “carattere”.

Già nei mesi successivi all’arresto gli inquirenti erano preoccupati che i familiari dell’uomo si vendicassero, con aggressioni, contro chi aveva trovato il coraggio di parlare. Ieri, a fronte dei testimoni, dalla gabbia sono arrivati insulti e minacce in italiano e albanese.

Una violenza tale da costringere i giudici ad allontanarlo, mentre i familiari hanno fatto capire in modo inequivocabile di non gradire la presenza in aula di eventuali giornalisti.

Valeria Deste

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