Brindisi – Varese: il commento di Fabio Gandini

Della partita di ieri resta quel magnifico tra Cecco Vescovi e Ugo Ducarello

«Clamoroso al Cibali» gridò con l’inconfondibile voce Sandro Ciotti durante un tranquillo pomeriggio domenicale degli anni ’60: nello stadio di Catania i padroni di casa stavano demolendo l’Inter. Se il mitico telecronista fosse ancora vivo e si occupasse di quella palla a spicchi che ha il potere di rovinarti il fegato, ieri sera avrebbe esclamato «Clamoroso a Brindisi».
Quando una vittoria diventa una sorpresa: sì, perché Varese ha fatto di tutto per fotocopiare la peggiore immagine di se stessa.

Anche in terra di Puglia i nostri prodi entrano in campo giudiziosi, favoriti da una regia di Dean molto più ordinata e razionale rispetto a quella del consueto titolare; poi prendono margine, lasciando crescere la speranza di una serata tranquilla. Mai nulla è stato più inutile che confidare nella capacità di gestione di questa squadra: contro-parziale e partita che si mette sui binari canonici, quelli di un viaggio che finora ha sempre condotto alla sconfitta.
Tra errori di una banalità clamorosa, una difesa che nel secondo tempo persevera in pigrizia e magagne concettuali (incredibile non capire che il cambio sistematico non può funzionare per tutta la durata di un match: gli avversari si abituano a far girare la palla più in fretta per cercare l’uomo libero ed imparano a fregarti) ed un attacco che – nel punto a punto – perde completamente di lucidità e di inventiva, il destino appare inesorabilmente segnato, per la settima volta di fila.
Invece si vince e per giunta all’ultimo soffio di vita. Si vince perché Rautins azzecca un’incredibile serata al tiro, si vince perché Callahan diventa il Jack Galanda del 2014; si vince – diciamocela tutta – perché Brindisi, convinta di aver domato l’inconfondibile agnellino prealpino, si perde in un bicchier d’acqua ed inizia a sbagliare in modo ancora più marchiano. E – nonostante tutti gli ulteriori tentativi dei biancorossi di evitare lo scalpo esterno – arriva a perdere.
Dopo sei pianti, riuscire a sorridere è un’impresa: prendiamo tutto e ci ingozziamo pure di felicità. Bellissima l’immagine finale coreografata in quell’abbraccio collettivo tra Ducarello, Vescovi e Pozzecco, simbolo di un’unione che ha resistito a questa tempesta durata due mesi. Domani è un altro giorno e ci sarà tempo per ragionare su come questa creatura maledettamente imperfetta continuerà il suo cammino. Ora è il momento solo di respirare un po’ di aria buona.