Frontalieri cresciuti ancora Superata quota 62mila

Frontalieri ancora in aumento: ora sono oltre quota 62mila.

In politica, ed in economia, tre anni costituiscono un periodo definito e chiaro. Tre anni or sono, non nel Pleistocene, i vertici della Lega dei Ticinesi stravinsero una campagna elettorale al grido di “35’000 frontalieri bastano”; ci si prepari quindi a nuove polemiche ora che è stato annunciato l’ennesimo “boom” nell’impiego di personale proveniente da Varesotto, Comasco e Verbano-Cusio-Ossola soprattutto. Livelli mai visti: 62.458 effettivi al 30 giugno 2014, più 6.5% rispetto al riscontro del 30 giugno 2013, e addirittura più 3.5% – ovvero 2.154 unità – nel solo trimestre ultimo; per confronto, l’aumento medio sul territorio elvetico, dove sono presenti 288.149 frontalieri – è pari al 4.3%, Ginevra e Basilea le mete più ambite (e più ricettive).

A dominare la scena, una volta ancora, è il settore terziario, nel quale operano 35.752 addetti; 26.104 i lavoratori nell’industria in senso lato; 602 gli occupati nel mondo agricolo. Esplicitiamo: su base annua, più 2.9% (741 unità) nell’industria, più 9.4% (3.092 unità) nel secondario, il primario resta ininfluente; su base trimestrale, più 2.3% (594 unità) e più 4.5% (1’537 unità) rispettivamente. Nessuna discriminazione di genere: a dati 2014 su 2013, uomini (più 6.7%) e donne (più 6.1%)

si equivalgono. In chiave di riparto territoriale, confermata la prevalenza – in termini spannometrici a causa della stagionalità di alcune professioni, tra il 40,9 ed il 41.2% sul totale – di addetti dal Varesotto rispetto a Comasco ed area piemontese. Un “ma”: il dato è acquisito sulla scorta del domicilio ultimo, come dire che il tasso di frontalieri con residenza storica – da 12 anni e più – in fascia di confine sta crollando; in traduzione corrente, del frontalierato “esteso” beneficia ormai un buon 30% di persone che sino al 2002 non avevano radici nelle aree di confine.

Ben maggiore, infine, resta l’incidenza del lavoro straniero in Ticino. In particolare, sono andati a vuoto i tentativi istituzionali di burocratizzare l’afflusso dei cosiddetti “padroncini”, intesi come indipendenti cui bastano due righe su un foglio per poter operare sino ad un massimo di 90 giorni; alla rilevazione del 31 dicembre 2013, 37’618 le notifiche in un anno solare a fronte delle 23’117 registrate nel 2012, ed il fenomeno risulta ancora in espansione a danno sia degli indigeni sia del frontalierato tradizionale. Circa il quale si può dire: cresce perché la richiesta continua; cresce per la carenza di personale svizzero o domiciliato in alcuni rami; cresce, tuttavia, anche per la crescente sostituzione degli “indigeni”, ad esempio laddove il salario non sia regolato da contratti collettivi e quindi venga lasciato alla libera contrattazione tra le parti, o all’imposizione da parte del datore di lavoro. Occhio: la pentola a pressione potrebbe anche saltare.

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