Gli uomini di Betti: Vietcong pronti a morire

«Potete uccidere dieci miei uomini per ognuno dei vostri che io uccido. Ma anche così, voi perderete e io vincerò». Ho Chí Minh lo gridava al mondo intero, tutto contro di lui. Lo gridava agli yankee quando tentavano di schiacciarlo. Di schiacciare il suo Paese. Lo gridava perché se c’è una cosa che può essere data come verità assoluta è che alla vittoria ci si arriva solamente non mollando mai. Il Varese di Betti e Di Stefano è questo: un “fottuto” Vietnam per tutti quelli che vorranno la sua morte.

Sabato tutto il Franco Ossola ne ha avuto la prova. Con i biancorossi non si scherza, perché la loro è una guerra. Vita o morte. E va bene anche la morte – violenta e atroce – se questo vuol dire vittoria. Contro lo Spezia non era solo una partita. Non era una prima di campionato come quella delle altre venti squadre di B. Non era lo scontro con il temuto ex Ebagua. Era qualcosa di più: qualcosa che trascende il ricorrere un pallone contro gli avversari su un campo da calcio. Era la prova di carattere che tutti chiedevamo ai nostri, perché i veri uomini, quelli disposti ad andare a morte certa per difendere il proprio sogno, sono pochi al mondo. Loro hanno risposto come solo degli uomini con la “u” maiuscola farebbero, conquistando una vittoria con i denti e con le unghie. Cadendo e rialzandosi.

In campo abbiamo visto undici Vietcong combattere sotto le bombe dello Spezia e il Napalm dei punti di penalizzazione (dovrebbero essere 3). Contro tutto e tutti senza paura. I biancorossi sono entrati in campo e Masnago sembrava la Cambogia. L’erba è sparita e al suo posto è spuntata la giungla. Corti prima, machete tra i denti, è andato in gol con un fendete da fuori area. Gli spezzini, feriti ma non ancora morti, hanno risposto subito dopo con un colpo di Catellani. Ma il gol dei liguri è stato solo un rantolo di vita prima di soccombere sotto il colpo di grazia del giustiziere Falcone, che chiude la partita su rigore.

Questo è il Varese che vogliamo vedere. Una squadra con sotto due palle tante, che non tira mai in dietro la gamba. Che entra in campo per finire la partita con in mano la testa degli avversari, perché solo così ci si salva. I nostri Vietcong lo sanno: Saigon è caduta una volta e cadrà ancora e ancora se ce ne fosse bisogno.

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