La faccia di Pozzecco è specchio della crisi

L’editoriale di Francesco Caielli

Non ci leviamo dalla mente quella foto: davvero, non ce la facciamo. Quegli occhi persi nel vuoto, quello sguardo teso a cercare un sorriso, quella paura di non sapere più che cosa fare per ribaltare tutto. La foto è quella di Pozzecco subito dopo la sirena finale che ha sancito la sconfitta numero dodici di una stagione che nessuno si aspettava sarebbe stata così. La foto è quella che mostra un uomo con la faccia sbagliata,

lontano parente di quell’allenatore che ribaltava Masnago saltando sul parquet dopo la vittoria al debutto su Cantù. Quella foto ci fa paura, perché se non ci crede più Pozzecco allora non ci crede nessuno: e diventa dura.
Lo abbiamo scritto a caldo e lo ribadiamo ora dopo averci dormito su una notte: ad oggi Varese è retrocessa. Perché al di là dell’arrivo di Jefferson al posto di un Daniel da rispedire oltreoceano senza se e senza ma, sono ancora tante le cose che in questa squadra non funzionano. Perché non basterà una faccia nuova a levare la tristezza a un gruppo che è apparso rassegnato e impotente di fronte a tutto il male (errori, sfortuna, problemi) che è capitato negli ultimi mesi.

Non è la prima volta che chi di dovere canna in pieno la scelta degli stranieri. Lo scorso anno arrivarono Clark, Coleman e Hassell che nel giro di qualche mese sono stati tagliati per provare a dare un senso (senza riuscirci) a una stagione nata sbagliata. Ma se alla vigilia dello scorso campionato eravamo più o meno tutti consapevoli del fatto che quella squadra non avrebbe mai girato, quest’anno è stato diverso. Diavolo: erano tutti quanti contenti dell’arrivo di Robinson e Daniel, erano tutti quanti concordi nel dire che “l’asse play-pivot questa volta l’abbiamo azzeccato”. E allora, cos’è successo? È successo che questa volta gli errori non sono stati fatti in estate, ma dopo: gli errori sono stati fatti quando si è dovuto correre ai ripari per sistemare le cose dopo che gli infortuni erano arrivati a rovinare una squadra che stava iniziando a giocare insieme per davvero. Al di là dell’acquisto di Eyenga (ottimo elemento, che però sembra aver già esaurito l’entusiasmo con cui era arrivato: qualcuno ce lo dice come ha fatto af arsi male a un alluce?), non è stata esemplare la gestione del cambio del play.

Insomma: si è preso Maynor perché era un’occasione da cogliere al volo, si è congelato Robinson perché l’idea era quella di tagliare Deane e Daniel prendendo un centro comunitario che però non è stato trovato quindi a un certo punto Robinson ha perso la pazienza e ha chiesto di essere lasciato andare. Ecco, sì: che casino.
Ma a noi interessa guardare avanti, consapevoli del fatto che quel che accade in campo sia sempre figlio di quel che accade fuori. E proviamo a dire la nostra alle persone che stanno disegnando il futuro della Pallacanestro Varese.
Pozzecco. Via quello sguardo e via quella faccia: davvero pensava che sarebbe stato semplice, che sarebbe stato tutto in discesa, che non sarebbero arrivato periodi come questo in cui verrebbe voglia di mandare tutti al diavolo e volare a Formentera per sei mesi? Si trova nell’unico posto in cui le è concesso di continuare a lavorare, perché qualsiasi altra società l’avrebbe già esonerato (l’avrebbe fatto anche Varese con qualsiasi altro allenatore). Questo è un privilegio – meritato e giusto, sia chiaro – da non buttare via. Torni a crederci: perché domenica, sappilo, lei batterà Recalcati. Scommettiamo una cena alla Perla?

Coppa. Tra lei e chi scrive non c’è nulla di personale, davvero (certo, quel comunicato stampa dopo il nostro 5 in pagella a Diawara è stato duro da mandar giù ma chiunque può sbagliare, persino lei). Abbiamo sempre apprezzato la sua serenità nell’affrontare le decisioni e i momenti più difficili e complicati, ed è proprio quella serenità che vogliamo vedere ora. Dimissioni? Non scherziamo: salviamoci, e poi ne parliamo.
Vescovi. E al Cecco diamo del tu. Hai salvato la Pallacanestro Varese: non l’hai fatto da solo, ma senza di te l’impresa consorzio non sarebbe mai nata. Lo sai, vero? Ecco: fallo di nuovo. Entra in spogliatoio, parla con i giocatori, fai tremare i muri, fai quello che ti senti ma fallo e trova il modo di vincere la partita di domenica prossima.
Perché bisogna tornare a vincere, altrimenti avanti di questo passo si arriverà all’inevitabile. E noi non siamo ancora rassegnati: la storia del Poz che vince a Varese, la vogliamo proprio raccontare.