«La gente e Bettinelli sanno cosa fare»

Luca Sogliano è in Brasile, la sua seconda casa (l’altra è in piazza Monte Grappa) che però nel suo cuore è forse la prima perché è un luogo – non immaginario – dove le persone, anche nel calcio, non si vendono e non si comprano. Hanno una sola parola e una dignità, anche quando sono disperate. Un sorriso e una lacrima veri, non finti. Sogliano s’aggira da solo per San Paolo, dove ha visto tre partite in due giorni, ma tornerà domani a Porto Alegre, dove ha portato il Verona per premiarlo (per lui, il Brasile, è sempre un premio) con tre amichevoli post-campionato straordinario.

La mia è una bella vita perché non mi faccio cambiare dagli altri o dagli eventi: serie D, C, B o A sono sempre quello di Parabiago. Guardo tutti in faccia e dico solo quello che penso.

La sensazione che sia irripetibile, come lo erano tutte le stagioni precedenti: ci davano retrocessi, siamo sempre stati tra il quinto o il decimo posto. Come vincere un altro campionato.

Vado dove ho la certezza di essere me stesso, dove posso fare il Sogliano. Scelgo il rischio: dopo un campionato così, la mia sfida è a Verona. Se quello che lascio rischia, non lo lascio.

Se lo scrivete anche voi, v’ammazzo perché è la bugia più colossale che mi sia mai stata messa in bocca. Ho chiamato anche Galliani per dirglielo perché quella frase è una cosa fuori dal mondo. Chi mi conosce, lo sa.

Ambiente unito, squadra umile, ruoli ben chiari: il ds fa il ds, l’allenatore fa l’allenatore, il presidente fa il presidente.

La gente del Varese è un vantaggio perché sa far vedere a tutti cosa vuol dire voler bene al Varese e metterlo al primo posto nella vita. Vogliamo tutti la salvezza e siamo pronti a tutto.

Gli angeli custodi dello spirito biancorosso che di punto in bianco non ci sono stati più stanno tornando o torneranno tutti al loro posto. Per fortuna. È una bella cosa, o no?

Con la disperazione degli ultimi che ci ha sempre accompagnato ma senza la paura di retrocedere che toglie il fiato, o la tensione che ti fa giocare prima le partite. Bisogna toccare le corde del cuore. Io preferisco una squadra sul pezzo di un’altra rilassata. Ma senza angosce.

No, e non devi pensare che conti altrimenti sei fregato. Qui s’azzera tutto, non ci sono favoriti né vinti. Sei solo con te stesso e con il tuo cuore. Chi ne ha di più, e chi vuole di più la B, ce la fa.

Perché ha sofferto tanto vivendo in categorie e campi impensabili. Nel momento della disperazione, sa cosa fare. E lo fa solo per il Varese.

Al di là del risultato, il Varese deve fare parecchie riflessioni. Bisognerà parlare seriamente del Varese quando tutto sarà finito.

Starà in curva, come fece Lepore quando ci salvammo all’ultima giornata in C2. E poi Neto non c’era nemmeno contro la Cremonese…

A Gambadori: bisognerebbe ingaggiarlo a gettone: anche da morto, continuerebbe a correre.

Perderebbe. Devi correre e giocare al 101%. La squadra vista al Piola e contro il Siena è tornata in partita. È un gruppo che lotta ed è pronto a buttarsi dentro e a vivere 180 minuti dall’inizio alla fine. Con la voglia e il piacere di giocarsela.

Il Varese ce l’ha dentro e, pur di salvarlo, si butterebbe nel fuoco. Sa toccare le corde giuste con ognuno. Era stato mandato via: tra due partite può rientrare dalla porta principale.

Non mi stupisco. Al Varese ci sono cose che vanno oltre a chi sta in campo e a chi è fuori. È una squadra legata alla sua storia e al suo destino. A volte sembra mossa dal vento.

Sentiamo.

Non provateci.

Non ci vengo da tre anni, forse è un po’ troppo.

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