La magia della bici tra fedeli, infedeli e convertiti

La Tre Valli si riprende il traguardo di Varese e la Città Giardino non sfugge alla “regola del tre”, il comandamento non scritto più scontato del ciclismo moderno.

Ogni agglomerato urbano che si rispetti – dal villaggio di pescatori alla megalopoli – al passaggio di una corsa divide i suoi abitanti in tre gruppi sociali ben distinti: c’è chi ama, chi subisce e chi prima subisce, sacramentando per giorni al pensiero di sentirsi topo in una trappola di strade chiuse, ma arriva infine ad amare, non fosse altro che per un secondo, il tempo di un flash che corre sui pedali.

Varese si sveglia accompagnata dal rumore degli elicotteri, suono sinistro per alcuni, foriero di una gran giornata per altri. Il cielo è plumbeo e promette una pioggia che non si esimerà dall’arrivare: poco male, se la gara si fosse svolta ad agosto, come d’abitudine, sarebbe stato addirittura peggio, visti i continui e sentiti regali che Giove Pluvio quest’anno non ha lesinato.

Tra il popolo che ama non possono non essere annoverati gli studenti, fuori da tutte le scuole in anticipo di due ore e dentro la città a dare manforte a quelli che «questa è una festa e va vissuta respirandone l’aria». I tifosi sono un esercito dalle tante legioni, curiose, appassionate, semplicemente osservatrici.

Ognuno ha una Mecca personale per gustarsi lo spettacolo, che va dall’uscio della propria abitazione accarezzata dalla corsa ai due punti focali di un tracciato morfologicamente selettivo: il Montello e Bobbiate. Sul primo si accalcano in tanti, come nel 2008, sognando per quasi sei ore l’attimo fuggente di uno scatto sui pedali, il lancio di una borraccia, l’espressione della fatica dipinta sul volto di un corridore. Tra questi ci sono i “turisti del ciclismo”, specie che resiste al tempo ed alle mode: e sono partiti da Bergamo alle 6 del mattino per assistere alla Tre Valli, armati di furgone, tavolino, tendone, pane e salame. Lo fanno sempre per il Giro d’Italia, lo ripetono anche oggi, occupando un piccolo tratto della rampa di catrame e sperando in un morso dello Squalo dello Stretto, al secolo Vincenzo Nibali, magari proprio davanti ai loro occhi.

Chi ama sono anche coloro che hanno inforcato la bicicletta e sono qui per ottemperare al feticcio su due ruote più bello che esista: ripetere lo stesso percorso dei campioni. Ad ogni giro la carovana ufficiale si lascia dietro una scia di amatori che sudano le proprie sette camicie. C’è chi si fa gli interi undici giri e chi invece solo un paio: tutti, oltre ad amare, ci mettono l’anima.

Il tifoso fa poi domande che passano veloci come il gruppo: «Era Santaromita quello?», «Quanti giri mancano?», «Ma c’è Bugno sull’elicottero?». Se ti mischi a loro capisci che la competenza non è una dote essenziale per apprezzare lo spettacolo: quello che conta è calpestare gli stessi chilometri di asfalto. È esserci. Come c’è , oggi volontario messo a gestire il traffico, 70 anni fa corridore della Binda impegnato nelle analoghe fatiche che vanno in scena su questi schermi. Il suo sorriso è una macchina del tempo che dipinge le Tre Valli storiche, in bianco e nero, vinte da Motta; il suo presente è invece più gramo, c’è il popolo di quelli che subiscono da gestire.

Ad ogni incrocio la richiesta ha più o meno le medesime sfumature: «Abito a 200 metri da qui, posso passare?». Oppure: «C’è mia moglie che mi aspetta alla Coop, ma quando riapre via Daverio?». La gentilezza e l’abnegazione delle pettorine gialle a volte calmano i bollori, altre lo fomentano. Per queste persone esiste solo l’orologio che corre e una barriera davanti: la Tre Valli è allora una iattura da maledire dando colpi al proprio volante.

Infine ci sono i “convertiti”: l’arrivo di piazza Monte Grappa ne è pieno. Suona la campanella dell’ultima tornata e questa parte di Varese si ferma, con un occhio alla strada e l’altro al maxischermo. C’è gente che si affaccia ai balconi degli uffici – ed è la stessa che prima malediceva il destino crudele – e chi ferma lo struscio nel corso e si accalca alle transenne, ci sono la signora ingioiellata e il vecchietto col bastone. C’è soprattutto la pioggia che apre gli ombrelli.

Tutt’insieme aspettano un Godot su due ruote che nemmeno conoscono, tutti hanno per un istante il cuore in gola e l’emozione nel sangue che cancella ogni impegno, ogni rabbia, ogni ritardo. È solo un attimo, è la magia del ciclismo.

Varese

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