L’appello di Gianni Mura «Ora la verità sul Pirata»

Nuovi sviluppi hanno riaperto il processo Pantani. Ribaltate le prove di suicidio, l’ipotesi è omicidio. «Questa è la vera inchiesta: la prima era monca»

Pantani non ha pace. E attualmente la certezza è una sola, che Marco non c’è più. Non ci sono più i suoi scatti, le sue bandane, i suoi occhialini gettati via.
Il caso relativo alla sua morte è stato riaperto ai primi d’agosto, grazie al certosino lavoro dell’avvocato di famiglia De Rensis. Le prove di suicidio sono state ribaltate, e ora l’ipotesi al vaglio è quella di omicidio.

Una battaglia dei genitori lunga dieci anni per ridare dignità ad un figlio prima che ad un campione. Una battaglia che si preannuncia lunga, difficile, non si avranno novità giudiziarie prima di Natale. Intanto spuntano nuovi video, dieci anni dopo. Spuntano nuovi dettagli, dieci anni dopo.
Marco è stato trascinato, il lavandino non è al suo posto, si vedono tracce di cibo cinese nel video dei carabinieri che è stato (volontariamente?) tagliato. Perché, nel video originale,

il lavandino è dove dovrebbe stare. Un nuovo video di 51 minuti, di cui prima probabilmente si ignorava l’esistenza, e che probabilmente cambia il mondo. Il tutto, chiaramente, dieci anni dopo. La riapertura del caso appare come una coperta che per troppi anni ha tenuto sotto di sé una quantità sconfinata di polvere. Che piano piano, ora, riappare, quasi per magia.
Gianni Mura, cantore storico di ciclismo su Repubblica, ha voluto bene a Marco Pantani, come tifoso e come giornalista, e su quella polvere ha le idee ben chiare: «La riapertura è doverosa, perché la prima inchiesta si è rivelata essere approssimativa, monca. Sembrava servisse solo a stabilire che fosse morto di overdose, che quella sera era solo in camera e che nessuno potesse entrare. Da tutto ciò che sta emergendo, mi sembra di poter dire che questa è la vera inchiesta. Dell’altra non c’era molto da prendere o lodare. In realtà non so a cosa porterà questa riapertura, non credo all’ipotesi di complotto, ossia che Pantani fu fatto fuori perché voleva fare dei nomi e screditare il ciclismo, perché di tempo ne aveva avuto prima .Credo invece che non sia una morte naturale. Ho una spiegazione molto terra terra, magari una frase sbagliata ad uno spacciatore. La riapertura dopo dieci anni è per merito della testardaggine della madre che non ha mai smesso di insistere. Anche se qualcosa già era trapelato prima, nel libro di Philippe Brunel, Vie et mort de Marco Pantani».

Marco Pastonesi, firma autorevole di ciclismo sulle pagine rosa della Gazzetta, ha scritto di Pantani, anche un libro.
«Io penso che siano atti dovuti – confessa – perché la vicenda è stata trattata con superficialità e negligenza, macchiandosi di gravi fatti di non curanza, sicuramente è giusto che venga riaperta l’indagine. Tuttavia, non credo che possa portare a nient’altro, ed io nel mio libro “Pantani era un dio” ho sostenuto la tesi che lui fosse stato suicidato. A mio parere, c’è qualcuno che lo ha indotto a suicidarsi. Ed il fatto che ci siano voluti dieci anni mi fa pensare ad eventuali questioni economiche in ballo. A volte, a pensar male ci si azzecca anche. Non so dire poi perché ci siano voluti dieci anni, forse perché la famiglia in questi anni ha raccolto qualche informazione in più. Se non altro per ridare dignità e credo anche sollievo, perché il suicidio pesa sempre come responsabilità sui genitori, anche se non sono chiaramente loro i colpevoli di quel che è successo. Pesa perché educatori, e genitori, ed erano in Grecia quando morì il figlio. Dovesse essere confermato l’omicidio, in un certo senso verrebbe a mancare quel senso di colpa che provano da dieci anni ormai».