«Poz, ora capisco cosa hai provato. Io, però, non mi strappo la camicia»

Carlo Recalcati avversario in un derby: un’intervista che non avreste mai pensato di leggere

Sì, per fare strano fa strano. Eccome. Lui, l’ultimo a regalare una gioia a queste lande (anzi, La Gioia) seduto su quella panchina lì. Non c’è Fortitudo, Siena, Montegranaro o Venezia che tenga: quella panchina lì è diversa. E lui è diverso dagli altri.

Il problema con Carlo Recalcati è che la sua storia di allenatore è stata scritta da un romanziere improbabile, provocatorio, sicuramente non scontato: da una sorta di Bukowski prestato alla palla a spicchi. E’ stata compilata storta e strana fin da principio, spiazzando i capisaldi dei romantici del basket. Un milanese diventato uomo e giocatore a Cantù che si afferma come grande coach a Varese: ammetterete che i parametri risultino un tantino sfasati… Il suo ritorno da profeta nel villaggio lombardo della pallacanestro e il derby che farà fremere Desio tra poco più di 48 ore, in un certo senso, non fanno altro che chiudere un cerchio.

Gli avrei dato del pazzo, sicuramente. Benché nella vita non si sappia mai cosa possa accadere, un derby, questo derby, non era proprio nei miei pensieri.

Sono curioso, ma sto cercando di non crearmi aspettative di alcun tipo: tutto ciò che verrà lo vivrò nel modo migliore possibile. Di derby da canturino ne ho giocati e allenati tanti, ma dall’ultimo è passato parecchio tempo e, soprattutto, c’è stata di mezzo Varese e tutte le soddisfazioni che ho vissuto con lei. Sa che comunque me la ricordo come se fosse ieri l’ultima partita contro Varese da coach di Cantù?

Perché non finì… Semifinali del campionato 1989-90: perdemmo gara 1 a Masnago, poi gara 2 in Brianza venne sospesa a 5 minuti dal termine a causa di intemperanze tra le due tifoserie.

Penso che senza i supporter di una delle due squadre si giochi una partita monca. Ed è un peccato. Io continuo a sperare che si arrivi a una decisione diversa, pensando anche al fatto che questo non sarà un match “vita o morte” come appariva anche solo un mese fa. Entrambe le squadre si sono fortunatamente risollevate, hanno sì bisogno di almeno un’altra vittoria per la salvezza aritmetica, ma non ottenerla domenica non costituirebbe un dramma per nessuno. Quindi ci sarà la solita rivalità, senza dubbio e come è giusto che sia, ma non un ambiente da ultima spiaggia…

Ho sentito qualche amico, come Gianni Chiapparo e Michele Lo Nero, ma nessuno della società. Però tante persone mi hanno fatto i complimenti quando sono tornato in panchina, un mese fa.

Tornare a Cantù è stata un’esperienza quasi traumatica, lo dico ovviamente in positivo. Le sensazioni che ho provato prima dell’esordio contro Reggio Emilia sono state qualcosa di incredibile per me, qualcosa di inedito. Mi sono sempre ritenuto un professionista un po’ freddo e penso che questo mi abbia permesso di arrivare ad allenare fino alla mia età, perché non farsi travolgere dalle emozioni ti evita anche tanto stress… Questa volta, però, è stato diverso: ho sentito addosso la responsabilità di fare bene nel luogo in cui sono cresciuto, in cui è nata e cresciuta la mia famiglia, di soddisfare le aspettative della gente che ho attorno e che in me crede molto. Ora ho davvero capito cosa ha provato Gianmarco Pozzecco quando è arrivato ad allenare Varese… Solo che, a differenza sua, non mi sono ancora strappato la camicia (ride)…

Anche in questo caso ritengo che il bilancio possa dirsi positivo. Abbiamo vinto tre partite e perso quella che abbiamo giocato peggio: il parquet non mente quasi mai. Io di Cantù avevo visto tante gare, perché mi dividevo tra Desio e Masnago, e anche parecchi allenamenti, grazie alla disponibilità di coach Bolshakov: mi ero fatto l’idea che questa squadra avesse bisogno di aumentare le rotazioni. L’assenza di Darden, a maggior ragione, mi ha corroborato nell’intento. Così ho trovato tanti giocatori importanti in più, come Parillio e Quaglia, e il gruppo ha guadagnato in solidità, rispondendo bene alla durezza del lavoro e dandomi una grossa mano.

Chissà perché difendere a zona viene a volte considerato una vergogna… Io l’ho sempre fatta e sempre la farò. Ma, più importante della zona in sé, è l’alternanza delle difese, un’arma che serve sempre e che – per esempio – ha consentito l’altro ieri a Venezia di avere ragione del Pinar in Champions League. Tutto sta a come fai le cose e a come leggi le partite.

Non mi ero mai permesso di farlo notare, anche per una questione scaramantica… E ricordarlo prima del derby è brutto da parte vostra (ride)… Però, scherzi a parte, è vero: forziamo meno tiri e la palla circola meglio.

Nessun osservato speciale: sarebbe gravissimo ci fosse. Prima della partita con Brindisi feci l’errore di indicare Goss, che contro Cantù – anche in maglia biancorossa – ha sempre giocato benissimo, come tale. Ma poi mi corressi: «L’importante è vincere». Non esiste mai un giocatore da “annullare”: tutto sta a come vieni a capo delle scelte fatte dei tuoi avversari. Varese? Non mi piace dare un giudizio sul prima e sul dopo: è evidente che avesse bisogno di tempo per diventare la squadra che è ora

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Campionato 1974/1975, poule scudetto: vincemmo noi

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Quello che ho citato prima, l’incompiuto, l’ultimo. Vero che la partita fu interrotta, ma stava vincendo Varese… Mi devo rifare.

Il primo, stagione 1997/1998, giocato a Masnago. E perso. Giancarlo Pigionatti scrisse: «Ci voleva un canturino in panchina per perdere un derby in casa…».

Spero

vivamente di prolungare questa astinenza.