Pusher marocchino torturato e ucciso nei boschi: 26 arresti. Gli spietati criminali dello spaccio

Le indagine della Squadra Mobile di Varese partite dal ritrovamento del cadavere del 24enne nordafricano, abbandonato seminudo in una piazzola di sosta a bordo strada della strada statale 336 nel Comune di Lonate Pozzolo, con evidenti segni di violenza subita. Come funzionava il terribile sodalizio magrebino della droga

BUSTO ARSIZIO – Ventisei misure cautelari, emesse dai gip di Busto Arsizio, Novara e Lodi, sono state eseguite questa mattina tra Lombardia e Piemonte, nell’ambito delle indagini condotte dalla Squadra Mobile di Varese, partite dal ritrovamento del cadavere di un ragazzo di 24 anni marocchino, appartenente a un gruppo di presunti spacciatori, abbandonato seminudo in una piazzola di sosta a bordo strada della strada statale 336 nel Comune di Lonate Pozzolo, con evidenti segni di violenza subita.

Le 26 misure cautelari, 24 in carcere, una agli arresti domiciliari e un divieto di dimora, hanno colpito un gruppo di persone, originarie del Marocco (eccetto un solo cittadino italiano con mansioni di autista), indagate a vario titolo per i reati di tortura con uccisione del torturato, tentata estorsione, rapina, detenzione di armi e reati in materia di stupefacenti, in particolare spaccio nelle zone boschive in numerosi punti dislocati nelle province lombarde e piemontesi. Le diverse misure cautelari sono state eseguite con la collaborazione delle Squadre Mobili di Milano, Novara, Genova, Cremona, Lodi, Piacenza, Pavia nonché con l’ausilio di equipaggi del Reparto Prevenzione Crimine di Milano. Gli arresti sono stati eseguiti in Lombardia nelle province di Milano, Lodi, Pavia e Cremona, e anche nelle province di Novara e Piacenza. Alcuni destinatari dei provvedimenti, irregolari in Italia e senza fissa dimora, sono risultati irreperibili. Un arresto è stato eseguito in Germania dalle autorità di polizia di quel Paese, attivate dall’Unità Fast italiana (incardinata nel Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia) a seguito della emissione del Mandato d’Arresto Europeo da parte del gip.

Gli elementi raccolti, attraverso l’ascolto di decine di persone, servizi di osservazione, intercettazioni telefoniche e ambientali, acquisizione e analisi tabulati, sequestri, indagini informatiche, accertamenti tecnici e rilievi di Polizia Scientifica, visione e analisi di decine di telecamere di controllo del traffico e appartenenti a privati, accertamenti e servizi di osservazione in territorio estero eseguiti con il coordinamento del Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia di Roma (Interpol), hanno consentito di comprendere che l’uomo ucciso, successivamente identificato per un ragazzo di 24 anni marocchino, aveva fatto parte di un gruppo di presunti spacciatori tutti di nazionalità marocchina, facenti capo a due fratelli, dimoranti nel milanese, proprietari di diverse piazze di spaccio situate in zone boschive delle province di Milano, Varese, Novara, Pavia e Lodi. Secondo quanto finora ricostruito, il movente della tortura a cui ha fatto seguito la morte del ragazzo sarebbe stato il furto di droga e soldi per un valore di circa 30.000 euro che la vittima aveva compiuto qualche settimana prima nei confronti del gruppo di presunti spacciatori di cui faceva parte, e per il quale lavorava con un complice in una zona boschiva posta a cavallo dei Comuni di Pombia-Oleggio-Marano Ticino, in Piemonte. Con questa droga provento del furto il ragazzo aveva cercato di aprire una sua piazza di spaccio in provincia di Varese, in zona Laveno Mombello. Sulla base di quanto contestato, il gruppo era riuscito nei giorni seguenti ad avere certezza dell’affronto subito da parte del ragazzo, e il capo lo aveva convocato dicendo che doveva parlargli. La disponibilità, suo malgrado, del ragazzo nei confronti dell’ex capo gli sarebbe stata fatale: da un Comune della provincia di Milano il ragazzo sarebbe stato condotto dal capo e da uno dei complici nel bosco in cui aveva rubato la droga e i soldi al gruppo, lì ad attenderli c’erano altri componenti del gruppo, che si sarebbero scagliati contro il ragazzo accusato del furto, lo avrebbero percosso e seviziato con vari strumenti, sino al decesso, avvenuto dopo alcune ore di acute sofferenze, al termine di violenze crudeli e prolungate.

Il suo corpo sarebbe stato poi trasportato dal bosco in cui era stato ucciso alla piazzola di sosta dove è stato trovato la mattina successiva, a seguito di segnalazione da parte di alcuni passanti. Poco dopo aver iniziato le torture nei confronti del ragazzo, una donna, identificata poi come la compagna del capo del gruppo, aveva chiamato ripetutamente il padre di quest’ultimo, riferendo quello che stava accadendo e chiedendo il pagamento della cifra che il ragazzo aveva rubato. L’uomo, che viveva in Spagna, aveva chiesto di liberare il figlio rendendosi disponibile a recuperare la cifra necessaria, chiedendo, però, del tempo a tale scopo, ma la morte del ragazzo è intervenuta prima che potesse recuperare la somma necessaria. La notte successiva al ritrovamento del cadavere il capo del gruppo è fuggito in Spagna, grazie al determinante ausilio offerto dalla sua compagna. A dirigere gli affari avrebbe lasciato in Italia il fratello e alcuni fidati uomini che avrebbero proseguito nel fiorente traffico di droga venduta nei boschi lombardi e della provincia di Novara, sempre, comunque, sotto le costanti direttive del capo. L’indagine ben ha mostrato l’organizzazione e le modalità del traffico di stupefacenti gestito da gruppi composti quasi esclusivamente da cittadini marocchini che hanno eletto a piazze di spaccio aree boschive. Dentro al bosco ci sono normalmente due persone, una, che ha la capacità di parlare e comprendere sufficientemente la lingua italiana, addetta alla ricezione delle chiamate da parte dei clienti che fanno l’ordine annunciando il proprio arrivo, l’altra addetta alla consegna della droga al cliente. Chi riceve le chiamate normalmente è il ”capo posto”, e gestisce la droga, preparando le dosi, e i soldi; droga e soldi che, nei momenti di ”riposo”, lo stesso ”capo posto” nasconde all’interno del bosco stesso, cercando di non farsi vedere dall’altra persona con cui lavora in quel punto, per non rischiare che questo possa appropriarsi di tali ”risorse”, fuggendo. L’addetto alla consegna al cliente, invece, normalmente è un marocchino giovane da poco giunto in Italia. Quasi tutti sono irregolari sul territorio nazionale.

E’ stato accertato dagli investigatori che il gruppo indagato disponeva di appartamenti affittati da prestanome, e di vetture intestate a prestanome o noleggiate per pochi giorni (con documenti ottenuti da terzi, dietro pagamento di somme di denaro) attraverso società che forniscono il servizio a distanza tramite portale internet. Nella disponibilità del gruppo criminale, poi, ci sarebbero state anche armi, sia bianche (ad esempio machete), sia da fuoco (fucili e pistole), anch’esse occultate nei boschi di spaccio, ostentate sui profili Facebook e utilizzate per rappresaglie e in caso di contrasti con gruppi rivali (ad esempio a seguito della sottrazione dei telefoni dello spaccio oppure per la conquista di un luogo di spaccio conteso). Almeno due sono gli episodi registrati nel corso dell’attività di indagine, per i quali si è proceduto separatamente innanzi all’autorità giudiziaria competente per territorio: il primo è avvenuto a fine luglio del 2022 in un locale della provincia di Milano dove, a seguito di una rissa fra alcuni indagati, sono stati esplosi alcuni colpi di pistola; il secondo è avvenuto a metà settembre in provincia di Varese, quando appartenenti al gruppo indagato e concorrenti rivali si sono scontrati a colpi di arma da fuoco. La maggior parte degli indagati ha precedenti o pregiudizi di polizia in materia di stupefacenti; il capo, inoltre, è stato denunciato in tre occasioni a partire dal 2020 per sequestro di persona e lesioni commesse ai danni di propri sodali nell’ambito dei contrasti legati allo spaccio di stupefacenti.

(Fonte: Adnkronos)