«Per scrivere la storia bisogna volerlo. Con il cuore del Betti e il fuoco dei tifosi»

Fabio Baraldi carica i giocatori per la volata: «Stasera gli ottavi di finale: diamo tutto». L’obiettivo è fissato: «Se riusciamo a salire in Lega Pro, ben venga: noi siamo pronti. Altrimenti ci riproveremo»

Appuntamento a colazione, di fronte a un caffè, una spremuta e un piatto di frutta, prima di un’altra giornata in cui mettere anima e corpo al servizio del Varese. Per costruirne le fondamenta e così tracciarne il percorso. Una chiacchierata, serena e appassionata, in cui il presidente Fabio Baraldi racconta il suo passato e il suo futuro, le emozioni e le difficoltà, l’impegno e i desideri, i progetti e i sogni. Lo fa, rispondendo senza pensare ma pensando ciò che risponde. Guardando negli occhi, parlando chiaro, seguendo i valori che lo sport gli ha insegnato e che vuole mettere a disposizione del Varese. Insieme a se stesso.

Vivo questa partita come se fossero gli ottavi di finale di una competizione internazionale. Facciamo il meglio stasera e nelle prossime tre partite, secondo le nostre possibilità: se salire è nelle nostre possibilità, saliremo. Altrimenti ci riproviamo.

Certo. Ben venga. Non vediamo l’ora. Allo stato attuale, rimanere in serie D o salire in serie C a noi come società non cambia nulla: i nostri piani li portiamo avanti, in D e in C. Sulla parte sportiva possiamo incidere fino a un certo punto: sono i ragazzi che acquisiscono i risultati. Noi possiamo solo dargli la serenità. A noi compete il resto e non dipendiamo dai risultati.

Le palle. La voglia di arrivare. La storia la scriveranno i giocatori, non noi: loro rimarranno impressi nella mente dei tifosi. Scrivere un pezzo di storia è gratificante: e deve essere un obiettivo.

Vivo la partita di stasera con piacevole attesa. Spero di vedere tanta gente e, anche per questo, abbiamo invitato i bambini delle scuole. Mi piacerebbe che lo stadio diventasse un punto di riferimento: dove lo sport resta l’attrazione principale, ma uno stadio che sia anche un punto “glamour” dove, in quell’ora e mezza, si raduna tutta la città: i tifosi, la curva, gli imprenditori, il mondo dello spettacolo, i bambini delle scuole. Vorrei una cosa bella, di stile: ci stiamo lavorando.

Martedì abbiamo organizzato una riunione. Una mezz’oretta per conoscerci e parlare: ci siamo trovati alle 18, abbiamo finito poco prima delle 23. Ho parlato con tutti i nostri responsabili e anche con tre genitori, che si impegnano in prima persona per il Varese. Ho conosciuto uno staff coeso, che ha voglia di fare, che lavora con dedizione, passione, attitudine. Che impronta ogni discorso alla qualità. Hanno ricostruito qualcosa che era impossibile ricostruire in 20 giorni: ce l’hanno fatta. Ora bisogna dare anche a loro tranquillità e continuità per consolidare.


Ho lasciato casa a 12 anni, ho vissuto da solo, lontano dalla famiglia. Mi allenavo dalle 6 alle 8 di mattina, poi andavo a scuola; finita la scuola mangiavo, facevo i compiti e alle 18 tornavo ad allenarmi, fino alle 22: si chiama fame. Fame di arrivare. Fame di coronare un sogno, che se non si prova a realizzare rimane tale. Fame di rispettare la promessa fatta a mamma e papà: “diventerò uno dei giocatori più

forti in Italia e giocherò per la Nazionale”. Ce l’ho fatta, sono arrivato. E così voglio fare al Varese: sono arrivato e voglio rimanere. Il lavoro paga sempre. Ho fatto grandi sacrifici. Sacrifici per cui è necessario avere una società che ti dà un mano: l’ho imparato sulla mia pelle a Genova dove, a parte il mio primo allenatore, Paolo Venturelli, che mi è sempre stato vicino, non l’ho mai avuta. Questo invece l’ho trovato nelle persone del Varese: la volontà di stare vicino ai ragazzi nella loro crescita. Sportiva, e anche personale.

Sì. Uno importante, lunedì, è andato molto bene. Ma preferisco far vedere il palazzo una volta costruito anziché dire che sarà costruito.


Varesello sarà casa nostra, la casa del Varese. E stiamo lavorando per farlo diventare questo, per riqualificarlo, per dare sostanza a quello che già abbiamo. Che è bellissimo, e va valorizzato.


Lo stadio è storico, ha vissuto tante battaglie, è e deve rimanere il palcoscenico più importante. Gli serve una rinfrescata: ci stiamo lavorando.

Direi bene, non sento più nessuno che si lamenta: vuol dire che sta succedendo qualcosa di buono. Lavoriamo in silenzio, senza pubblicizzare ciò che facciamo: è una mia politica che Aldo Taddeo e Paolo Basile sposano in pieno.

Le sto già incontrando. Quando ti inserisci in un tessuto sociale che non è il tuo, e devi dare credibilità a quello che fai, soprattutto alla mia età (27 anni, ndr), c’è una tassa da pagare: lo scetticismo delle persone. Lo sento. E ho sentito domande come “Chi c’è dietro Baraldi?”. Purtroppo, nessuno. Mi piacerebbe dirvi che c’è qualcuno di fantasmagorico, ma non è così. Dietro di me non c’è nessuno. C’è, invece, la volontà di uno sportivo di fare il massimo, di realizzare una filosofia di sport, pulito, sano e trasparente. Solo questo e null’altro. La risposta allo scetticismo, comunque, sono i fatti: quello che diciamo, sono solo chiacchiere; ciò che facciamo, è la verità. So che qui c’è gente scottata da precedenti brutti, che ha bisogno di riacquistare fiducia. Possiamo farlo se stiamo tutti uniti: politici, imprenditori, tifosi. Credendo in un progetto. Questo è il senso di quello che sto facendo: lo sport è questo, un gruppo di persone che lavora unito per raggiungere un obiettivo.


Dico la verità: è stato Paolo Basile a convincere Bettinelli. Io ho solo fatto lo sportivo, parlandogli da atleta che ama lo sport, e questo è piaciuto al mister. Conoscendolo ho verificato che quanto diceva Paolo era tutto vero: Bettinelli è una persona di valori, che ha emozione a fare quello che fa, che ci mette il cuore. Che è scottata dal passato ma che adesso deve e vuole lavorare sereno: siamo qui per questo.


Veramente ho convinto io loro con il mio progetto. Ciò che hanno fatto loro è stato farmi innamorare di loro come persone: ora posso dire di lavorare con due fratelli.


Bellissima. Tifosi fantastici. Gente che ha voglia di tornare allo stadio, mi è piaciuto tanto. Molto bene, la tifoseria, la curva: persone eccezionali. Pubblico caldo, la piazza che mi aspettavo: mi piacciono le persone così.


Nello sport i ricordi sono belli per i tifosi. Ma possono diventare un onere troppo pesante per chi c’è oggi, che non dimentica ciò che è stato ma deve lavorare per quello che sarà. Ora noi siamo il Varese in serie D: ci sono io, ci sono Taddeo, Basile e Merlin.


Vincere è bello. Fa piacere. A me per primo. Ma non è solo quello. Io a Kazan ho perso una medaglia ai rigori: e questo mi è servito. Forse anche più che se l’avessi vinta: mi ha fatto fare un passo in più nella dedizione al lavoro e alla fatica. Lo sport è anzitutto educazione e etica, professionale, sportiva e umana: le cose a cui tengo di più.