Strage di Samarate, Alessandro Maja “era lucido, aveva paura di perdere agiatezza economica”

Le motivazioni della sentenza depositate ieri a carico del geometra 59enne condannato all'ergastolo lo scorso 21 luglio dalla Corte d'Assise di Busto Arsizio per aver ucciso la moglie Stefania Pivetta e la figlia 16enne Giulia nella villetta di famiglia riducendo in fin di vita il figlio Nicolò, unico sopravvissuto. L'ombra del rancore scaturito dalla "gravidanza avuta" dalla moglie "in occasione di una relazione extraconiugale"

BUSTO ARSIZIO – Alessandro Giovanni Maja era “lucido” ed è stato “indotto a fare strage dei familiari” per la “paura di non riuscire più a garantire alla famiglia le precedenti condizioni di agiatezza”. Lo si legge nelle motivazioni della sentenza depositate ieri a carico del geometra 59enne condannato all’ergastolo lo scorso 21 luglio dalla Corte d’Assise di Busto Arsizio per aver ucciso la moglie Stefania Pivetta e la figlia 16enne Giulia nella villetta di famiglia a Samarate riducendo in fin di vita il figlio Nicolò,

unico sopravvissuto della strage avvenuta nella notte fra il 3 e 4 maggio 2022. Nel dispositivo del presidente della corte Giuseppe Fazio, che riprende ampiamente le consulenze dello psichiatra forense professor Marco Lagazzi, vengono ripercorsi i fatti e sottolineato come al “momento dell’intervento dei soccorritori l’imputato fosse apparso loro lucido e ben orientato nello spazio” e come non siano emersi nel passato di Maja “problemi di carattere psicologico o, men che meno, psichiatrico” con il suo “medico di base” che “ha dichiarato di non conoscerlo neppure”.

Il 59enne non ha mai “sviluppato dipendenza da sostanze o farmaci” né è stato “oggetto di attenzione o cura da parte dei servizi psichiatrici territoriali”. Per i giudici il movente dell’efferato duplice omicidio e del tentato omicidio dell’altro figlio va ricercato nella “gravidanza avuta” dalla moglie “in occasione di una relazione extraconiugale” i rapporti “con il figlio Nicolò” e le sue “difficoltà scolastiche”, “le dinamiche della vita familiare” oltre alle “sopravvenute difficoltà lavorative ed economiche”.

L’uomo non avrebbe mai mostrato alcuna forma di “pentimento” soprattutto verso la “moglie”. Maja ha commesso dei “raccapriccianti delitti all’interno delle pareti domestiche, in piena notte o poco dopo” quando “le vittime dormivano serenamente nei loro letti” pensando di essere “protette da quelle pareti”. Omicidi “realizzati – concludono i giudici motivando il riconoscimento delle aggravanti rispetto alle attenuanti generiche – da colui dal quale i tre” credevano di avere “ulteriore protezione e sostegno e nel cui affetto confidavano”.