Tanjevic carezza a Pozzecco: «Ridere è il modo per guarire»

Il grandissimo coach slavo: «Amavo il suo temperamento, lui vinceva anche con il naso rotto. Mai affidarsi totalmente a un play: se gli vengono le mestruazioni la squadra non sa più cosa fare»

Mai affidarsi totalmente ad un playmaker. Se poi gli vengono le mestruazioni, campa cavallo: tutta la squadra ne risente. Serve solo un giocatore che porti avanti la palla. Punto». Grazie coach: per quanto ci riguarda potremmo anche fermarci qui. Viste le ultime scelte nel ruolo a questi latitudini, chiamandola prima avremmo capito molte cose…

Con Bogdan “Boscia” Tanjevic l’unica cosa da fare è essere capaci di ascoltare. Intervistarlo vuol dire sottoporsi ad una “mitragliata” di concetti sul gioco del basket che il cronista cerca di seguire come fa l’osservatore con una stella cadente: durano un attimo, poi scompaiono per essere rimpiazzati da ulteriori, lasciandoti pensieroso, frastornato, catturato e fortunato, nel caso tu li abbia colti davvero. Inutile prepararsi le domande: primo perché scopri quanto siano superflue e decidi presto di perderti nelle figure retoriche di una mente e di un linguaggio che sono il simbolo di una globalizzazione vera e “ante litteram” (Tanjevic è montenegrino, italiano, turco e sa l’inglese come un professore di Oxford); secondo perché le domande le pone lui.

Alo.

Chi gioca di italiani a Varese?

Infatti ho visto una mezza partita ma non ho riconosciuto nessuno: i giocatori cambiano in continuazione. Ci ho provato dalla Turchia, su internet: quando sono arrivato a contare sette sconosciuti, ho spento. Reggio Emilia mi piace, invece, ha tanti italiani. Parliamo di quella?

Voi giornalisti usate sempre la parola “progetto”. Dove sono i progetti se niente dura più di una stagione? Se ogni anno si cambiano sei o sette giocatori? Non c’è nessun progetto in Italia: solo Reggio Emilia ed in parte Venezia ce l’hanno.

Ripeto: non conosco gli atleti e quindi non sono riuscito ad interpretare il gioco della vostra squadra. Dovete avere pazienza, però: l’anno prossimo magari sarete secondi in classifica. Con meccanismi del genere una volta va male e un’altra va bene.

Certo. Io e Gianmarco abbiamo un rapporto che definirei familiare. Conosco anche i suoi genitori. Quando è diventato allenatore gli ho detto: aoh, fai tutto il contrario di quello che facevi prima! E aggiungo una cosa: io lo amavo come giocatore, amavo il suo temperamento. Vinceva anche con il naso rotto! L’unico problema è che lui voleva essere una stella in nazionale e non poteva: c’erano anche Myers, Fucka, Meneghin…

Secondo me non rischiate di retrocedere, ci sono due squadre peggiori di voi. Ogni cambiamento, però, passa dal lavoro: se raddoppi gli allenamenti vinci quattro partite consecutive. È sempre stata la mia filosofia dal ’71, da quando ho iniziato ad allenare. Poi difesa per quaranta minuti e giochi semplici in attacco.

È stata travisata! Io non ho detto che ci vorrebbe un solo straniero: ai miei tempi era così. Oggi come si fa? Un freno, però, bisogna metterlo: in tutti questi giocatori che vanno e vengono il pubblico non si riconosce. E non si lega.

Soragna mi è sempre piaciuto molto ed è stato uno dei pochi della nazionale di Recalcati a non far parte già della mia. Ma quanti anni ha ora? Il discorso è un altro: un allenatore non ha bisogno di intermediari. Deve essere lui il re dello spogliatoio. Io non utilizzavo nemmeno il capitano.

Brutti nessuno. La scelta di escluderlo da quei campionati europei (vinti dall’Italia nel 1999 ndr) è stata tecnica: il Poz cambiava tutto, troppo, nel bene e nel male. Già il mese dopo ci siamo visti e abbracciati.

Ogni volta che lo incontro: Gianmarco sa farmi ridere e la risata è l’unico modo per curare le malattie.

Riporta quello che ho detto eh… Se no vengo a prenderti a Varese!