Uccise chi voleva violentarla Giovane impiccata in Iran

Inflessibili i familiari della vittima: non hanno concesso il perdono. A nulla è valsa la mobilitazione internazionale. Aveva 26 anni

Impiccata nella notte, in un’improvvisa accelerazione di un percorso giudiziario durato anni, dopo due rinvii sotto la pressione della campagna internazionale a suo favore e due docce gelate per il mancato perdono da parte della famiglia della vittima, che avrebbe potuto convertire la pena di morte in detenzione. È finita così la vita di Reyhaneh Jabbari, accusata di aver accoltellato a morte un uomo che avrebbe tentato di violentarla.
Anche Papa Francesco qualche giorno fa aveva condannato con fermezza la pena di morte.

Dura la condanna del Dipartimento di Stato Usa, mentre un minuto di silenzio è stato osservato alla Leopolda a Firenze: «Continueremo la battaglia contro la pena di morte», ha ricordato il premier Matteo Renzi.
La grande mobilitazione internazionale a suo favore non è riuscita a salvarla dalla forca, e nemmeno l’impegno della madre Shole Pakravan, nota attrice di teatro che pure era riuscita ad accogliere attorno a se tanti esponenti della cultura. La madre è stata chiamata ieri per «l’ultima visita alla figlia», senza poi riuscire a sapere dove sarebbe stata trasferita. Poi ha scritto su Facebook, in un linguaggio figurato per non soccombere al dolore, che sua figlia «aveva danzato con la febbre sulla forca».
Non è chiaro cosa sia successo tanti anni fa tra una Reyhaneh nemmeno ventenne (è morta a 26 anni) e Morteza Sarbandi, ex funzionario dell’Intelligence, 47 anni. Le organizzazioni per i diritti umani come Iran Human Right, dicono però che alla sua prima confessione lei non aveva un avvocato e che non vi è stato un giusto processo. Un caso come tanti in Iran, sottolinea il portavoce della stessa ong, Mahmoud Amiry Moghaddam, dove la magistratura lascia alla famiglia della vittima la responsabilità di dare il via libera all’esecuzione.
Nell’ultimo incontro con la stessa Reyhaneh il figlio di Sarbandi ha chiesto che questa rinunciasse alla sua versione dei fatti, restituendo l’onore al padre. Lei non ha voluto.
Per una Reyhaneh di cui si parla vi sono anche due esecuzioni al giorno nell’Iran di Hassan Rohani, dicono ancora i difensori dei diritti umani. Un riformatore in ostaggio dei conservatori che nulla può fare per mantenere le sue promesse a una società civile che ha voluto credere in lui votandolo alle ultime presidenziali. Ieri il ministro della Giustizia Mostafa Mohammad aveva detto di sperare ancora in un lieto fine, ma non è il governo a decidere sulle sentenze della magistratura. E certo non era un caso di facile soluzione, quello in cui la vittima era un ex funzionario dell’Intelligence, e dove la campagna internazionale a favore della condannata era certo stata percepita dai vertici iraniani come una manovra dei suoi nemici esterni. Solo di pochi giorni fa il caso delle ragazze sfregiate con l’acido a Ishafan perché sarebbero state «mal velate», ma in quel caso una voce di condanna si era levata dall’ufficio della presidenza.
«Ci sono serie preoccupazioni sull’equità del processo», le parole della portavoce del Dipartimento di Stato Usa Jan Psaki, che ha aggiunto che «le autorità iraniane hanno proceduto con l’esecuzione nonostante gli appelli degli attivisti per i diritti umani in Iran e l’indignazione internazionale». Addolorata il ministro degli Esteri, Federica Mogherini, per la quale «la ragazza è vittima due volte, prima del suo stupratore e poi di un sistema che non ha ascoltato i tanti appelli, a conferma che proprio sulla difesa dei diritti fondamentali che il dialogo tra i Paesi resta più difficile». Messaggi di cordoglio anche da parte della presidente della Camera, Laura Boldrini.