Un punto interrogativo chiamato Molenbeek. Dove il terrore è di casa

Viaggio nel quartiere da cui sono partiti gli attentatori di Parigi: «Questa è una comunità affascinante, ma anche povera e difficile»

Bastano tre fermate di metro dal centro di Bruxelles a catapultarti nel Il mondo che in questo momento ha paura e cerca in maniera bulimica delle spiegazioni per esorcizzarla, o estremizzarla, o semplicemente per darle un volto, non importa se approssimativo.. In una laterale di rue Delanuoy, teatro dell’infruttuoso blitz della polizia belga sulle tracce di Abu Umar, la probabile mente del terrore parigino, troviamo una truppe polacca. La avviciniamo nel momento in cui conclude l’intervista a un passante: «Come è andata? Cosa ha detto?» «e non vede di buon occhio i giornalisti » è la lapidaria risposta.

Altre telecamere, altri microfoni, altre penne viaggiano in macchina, ti salutano, ti lasciano passare sulle strisce pedonali, popolano insomma la degli ultimi giorni, a metà tra un happening di legittimi cercatori di notizie e una moda creata da un destino che nemmeno sette giorni fa ha fatturato 129 morti. È una lunga lista di nomi a portarli qui: , l’assassino del comandante Massoud che ha aperto la strada talebana in Afghanistan nel 2011;, il pianificatore degli attentati di Casablanca nel 2003 e di Madrid nel 2004;, l’autore dell’attacco contro il museo ebraico di Bruxelles (maggio 2014); le armi dell’attentato alla redazione di del gennaio scorso; i membri della cellula terroristica di Verviers; gli arresti e i tentativi degli ultimi giorni, soprattutto.

La Molenbeek vista senza il filtro di un immagine televisiva o di un racconto cartaceo è in primis un : sei entrato sotto terra a pochi passi dallo sfarzo dorato della , ti riesumi tra case basse che anticipano casermoni, enormi cartelli pubblicitari, e la percezione di aver viaggiato in aereo verso sud, per ore, e non semplicemente in treno verso est per qualche minuto. Molembeek ha un volto in mattoni che. E ha fisionomie di persone che hanno occhi neri come il petrolio, carnagioni olivastre, veli a coprire i capelli femminili e barbe a incorniciare il mento degli uomini.

Moolenbeek è un errore riuscito bene, . Ma ha una sua normalità, cui tu chiedi permesso pensando che sia anormalità. No: quello fuori posto sei tu, sei tu che arrivi a cercare di capire ciò che capibile non è, a curiosare pensando di trovare tra questi isolati di abitazioni rosse la risposta ai problemi correnti dell’umanità. : ci sono crocicchi di uomini fuori dai bar, mamme velate che vanno a prendere i bambini a scuola,

piccole attività che fioriscono all’aperto nonostante la giornata ventosa. «Molenbeek è una comunità con grande fascino – esordisce , giornalista di quella Tele Bruxelles che ha la sede proprio qui – Ma è anche povera, difficile. Odio, però, chi la definisce un “Bronx” e si stupisce che la nostra televisione abbia degli uffici al suo interno». Quello del gentile Michel è l’in questa Beirut (o Algeri o Rabat) belga, ma lo accetta, cercando di non vedere tutto negativo, . Molenbeek non è un quartiere come scrivono i giornali: . E rimane un grande punto di domanda, quando ridiscendi le scale della metro di Etang Noirs.


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