L’intervista a Marco Caccianiga «Mai senza entusiasmo»

«Per prima cosa, una raccomandazione: non chiamatemi “responsabile” del settore giovanile. Io sono solo il coordinatore di un gruppo di lavoro, di una squadra di professionisti. Altrimenti non avrei accettato».

Il “Caccia” ci tiene subito a chiarire come sono andate le cose. Com’è arrivata la sua nomina a presidente del settore giovanile del Varese 1910. Chiarezza e sincerità, prima di tutto. Perché «dovremo essere limpidi e chiari come i bambini in tutto quello che faremo».

Premessa: la società mi propone quest’incarico da un mese. Loro vogliono dare una ventata d’aria nuova, puntando su varesini che conoscono il Varese. Io però al presidente ho sempre detto che non avrei accettato la responsabilità totale del settore giovanile perché quel ruolo non sarebbe stato nelle mie corde. Ho dato però la mia disponibilità a coordinare un gruppo di lavoro.

Esattamente. Ecco perché adesso sono qui, felice di ricoprire questo ruolo. Ed ecco perché ci tengo a non essere definito “responsabile”, ma “coordinatore”.

Il nostro sarà un lavoro d’équipe: a me toccherà il compito di coordinare il lavoro di quattro professionisti che si divideranno le varie mansioni, dallo scouting, alla gestione delle squadre, ai rapporti con allenatori e procuratori, e così via. È una visione diversa del settore giovanile, in cui a un responsabile unico subentra una sorta di quadrumvirato coordinato da me.

Paolo Masini e Stefano Milanta si occuperanno rispettivamente dell’area gestionale e sportiva, Roberto Verdelli farà l’osservatore e Mario Belluzzo sarà il coordinatore tecnico degli allenatori.

Avendo lavorato al suo fianco per un anno, ho avuto modo di apprezzarne le qualità: è un dirigente capace e un gran lavoratore. Sanguigno, da buon toscano. Ma con la sua competenza ci darà una grande mano in questo passaggio di consegne.

Credibilità, chiarezza, umiltà: queste saranno le nostre tre parole chiave. Non ci devono essere rumors o pettegolezzi. Quando c’è da litigare, si litiga, ma tutto poi si chiarisce tra noi, “nel chiuso dello spogliatoio”. Dobbiamo essere limpidi e chiari come lo sono i bambini.

Ma nemmeno per sogno. Non perderò neanche un minuto di quello che è il mio lavoro con i Piccoli Amici e il Progetto Bimbo. Lì sì che potete tranquillamente chiamarmi “il responsabile”: ho chiesto alla società di poter mantenere questo ruolo. È quello che so fare meglio, la mia natura.

Una cosa è certa: quello che non mi mancherà mai sarà l’entusiasmo. E quando ci sono voglia di fare e un clima sereno, di solito arrivano i risultati. Anche perché chi ha lavorato qui prima di noi, e parlo di Giorgio Scapini, ha fatto un lavoro straordinario. Per noi sarà più semplice lavorare partendo da queste basi.

Guardi, prima ancora di sentire quelle frasi, ero convinto che Tavecchio rappresentasse…il vecchio. Il calcio italiano non ha bisogno di Tavecchio, ma di una persona come Demetrio Albertini: giovane, intelligente, umile. E venendo dall’oratorio, sa quali siano i veri valori dello sport.

Chissà. Io so solo che il professore sarebbe stato la persona ideale per ricoprire questo ruolo. Purtroppo madre natura ha voluto diversamente. Ma lui sarebbe stato davvero la guida perfetta per il settore giovanile. Il maestro a cui mi sono sempre affidato nei momenti difficili. Ora cercherò di mettere in pratica tutto quello che ho imparato da lui.

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