Santo o santa? Il mistero della chiesa di Cartabbia

Il professor Renzo Talamona, ci conduce alla scoperta del nostro territorio e delle numerose storie fitte di enigmi, in cerca di spiegazione. Un percorso affascinante nell’antica Varese

La storia della città di Varese e delle sue castellanze, benché lo sappiano in pochi, è fitta di misteri. Accade però che a volte ci siano persone che, per anni di studi macinati sulle spalle e una buona dose di predisposizione naturale, abbiano un grande fiuto per l’arcano, e che desiderino andare a scavare nel passato alla ricerca di ciò che un tempo fu e oggi è sepolto nell’oblio dei secoli.

Lo fanno mettendosi umilmente al servizio della storia, forti della loro preparazione in materia e degli strumenti d’indagine che solo chi ha passato anni fra archivi polverosi e carte sbiadite, scritture arcaiche e codici che si sbriciolano fra le dita, può manipolare.

Il professor Renzo Talamona, classe 1944, docente in pensione di greco e latino al Cairoli, è una di quelle rare menti che da decenni si occupano di restituire alla conoscenza la nostra storia remota. Un personaggio incredibile, eppure mite e schivo, di quelli che pur essendo pozzi di scienza non lo fanno pesare, e sono nati per dispensare le loro conoscenze per puro amore dell’insegnamento e della verità. Uno studioso tale che «quando si reca all’archivio diocesano – dice di lui l’amico carissimo Pino Terziroli – al quinto piano ha un posto fisso intoccabile corrispondente al numero 12, espressamente riservato a lui».

Renzo Talamona, una manciata di anni or sono, si è imbattuto in uno dei misteri più affascinanti delle nostre contrade: quello di Sant’Albino, la chiesina di Cartabbia in festa con la primavera in nuce. Il “Liber notitiae sanctorum mediolani” di Goffredo da Bussero (XIII secolo) riporta l’elenco in ordine alfabetico di tutti i passi relativi alle chiese della diocesi milanese nel 1200, partendo dall’intitolazione al santo della chiesa o dell’altare e fornendone anche le agiografie: il professore,

studiandone il primo testo a stampa a cura di Marco Magistretti e Ugo Monneret De Villard (testo pubblicato esattamente cent’anni fa, nel 1917, e conservato in un esemplare presso la nostra biblioteca di via Sacco), ha cercato Sant’Albino, ma non l’ha trovato: al suo posto compare, incredibilmente, Sant’Albina. “De sancta Albina est ecclesia una cum sancta Theodora in monte Carthabia plebis de Varixio”, si legge nel Bussero. Sant’Albina, o anche Balbina, era – secondo la tradizione riportata dal Bussero – la figlia del tribuno Quirino, il quale aveva in custodia in carcere papa Alessandro I e il prefetto Ermete. Convertitosi al cristianesimo grazie a quest’ultimo, Quirino fu battezzato con la figlia dal papa. Essendosi Albina ammalata gravemente, fu portata a lui dal padre e ne fu risanata: in cambio Quirino liberò il sant’uomo. Essendo bellissima e molto ricca, la fanciulla era desiderata da molti giovani, ma volle rimanere fedele al voto di castità: arrestata con Quirino per ordine dell’imperatore Adriano, subì il martirio della decapitazione.

Ma quando è avvenuto il passaggio di dedicazione nella chiesina di Cartabbia, che non serba nemmeno più il ricordo di Teodora, tra l’altro non meglio identificata fra le varie sante che portano il nome? «Nessuno per ora è in grado di dirlo con certezza» osserva il professore. «Di sicuro, nel 1567, ossia da quando iniziano le registrazioni delle visite pastorali che si possono leggere nell’archivio storico diocesano di Milano, è regolarmente registrato sant’Albino». Si legge infatti nel documento del 1567 relativo alla visita pastorale dell’arciprete di Monza Giovan Battista Càstano – delegato di san Carlo Borromeo – alla pieve di Varese, avvenuta il 5 dicembre 1567, la primissima descrizione ufficiale della chiesa dedicata a sant’Albino, collocata a Capolago. Nel 1755 l’arcivescovo di Milano Pozzobonelli, la cui visita pastorale è ritenuta uno dei documenti più ricchi di particolari sulla nostra pieve, nel volume 40 rileva a Bosto la presenza di due itinerari processionali: quella di san Pietro verso la chiesa omonima (non più esistente, incorporata nella Villa De Cristoforis) e di quella “ad oratorium Sancti Albini situm in territorio Capitis Laci prima martii die”: la prima attestazione della storica processione del primo marzo, che si ripeterà identica a se stessa anche quest’anno.