Il pallone dei froci giocato da una donna

Faccio subito coming out, così da mettere le cose in chiaro con Maurizio Sarri e quelli come lui: sono donna, sono bionda, so molto di scarpe e poco di calcio. Sono un cliché, un luogo comune. Per anni ho testato i potenziali fidanzati chiedendo loro di spiegarmi cosa fosse il fuorigioco, questo sconosciuto. Dopo lustri di incomprensioni, uno c’ha provato tramite metafora: un paio di scarpe per il pallone, le casse di Zara per la linea dell’ultimo uomo. Io ho capito e l’ho sposato. Non so niente di calcio, dicevo, in compenso so tutta una serie di cose che il mister dell’Empoli evidentemente ignora. Ma gliele spiego volentieri, perché il calcio sarà anche cosa da maschioni rigorosamente etero, ma logica, buon senso e buon gusto sono ad appannaggio anche di noi femmine biondocrinite.

Io so, tanto per incominciare, cosa sia il tempismo: sbraitare che «il calcio è diventato uno sport da froci» quando la lotta all’omofobia è il tema caldo dello sport italiano in generale e del calcio in particolare, non è una buona idea. Figc e nazionale aderiscono alla campagna “dà un calcio all’omofobia”, i giocatori scendono in campo con i lacci arcobaleno, su Twitter spopola l’hashtag #allacciamoli e in tutto questo come se ne esce il Sarri? Lo sport di contatto che è diventato uno sport da froci (a tal proposito, i Lions di Bergamo, campioni di football americano, sport di contatto per eccellenza, hanno detto la loro su omofobia e dintorni con un video che va dritto al punto. Slogan finale: «Uno di noi è gay – l’attore Carlo Gabardini, prestato alla squadra per l’occasione – ma il culo ve lo facciamo tutti»).

So, poi, quanto siano importanti le scelte lessicali. Se Sarri avesse detto che il calcio sta diventando “uno sport da femminucce” gliela si poteva anche perdonare, ma parlare di “sport da froci” in un ambiente che è già sufficientemente machista di suo, non è una buona idea: significa scegliere il modo peggiore, il più gretto, il più balordo, di esprimere un concetto già di per sé opinabile. So anche distinguere tra dichiarazioni ufficiali e chiacchiere da bar: buttare lì, nella veste di tecnico di una squadra di serie B, un’uscita talmente infelice che neanche nel peggiore bar Sport, non è una buona idea. Tutte le parole hanno un peso, quelle di un personaggio pubblico ancora di più. So cosa vuol dire perdere con classe: incassare un goal per poi, a partita finita, prendersela con gli arbitri che fischiano troppo «con interpretazioni da omosessuali», non è una buona idea.

E neanche vale la pena di cercare di penetrare il pensiero stupendo dell’allenatore: la differenza tra un arbitraggio omosessuale e un arbitraggio fieramente etero, grondante testosterone e maschia virilità, Sarri magari ce la spiega un’altra volta.

So, infine, come ci si dovrebbe comportare dopo averne detta una grossa: fare ammenda sarebbe buona cosa, se è vero com’è vero che anche un raffinato intellettuale come Antonio Cassano, dopo lo storico “se ci sono froci in nazionale son problemi loro” cercò pur maldestramente di correggere il tiro. Ma se dovesse arrivare l’auspicata rettifica, caro Maurizio Sarri, accetti il consiglio di una bionda: non esordisca con qualcosa tipo “anch’io ho tanti amici omosessuali” come un Barilla qualunque. Neanche questa, mi creda, è una buona idea.

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