«Il calcio ungherese investe nel futuro Pro: prendi un attaccante e ti salvi»

Marco Rossi, indimenticato ex mister biancoblù, oggi sulla panchina della Honved. «La classifica dei Tigrotti non mi sembra affatto compromessa: i playout sono lì...»

Quarantatrè anni lontana dal campionato europeo con l’ultima manifestazione internazionale giocata al mondiale di Messico ’86. Ha fatto notizia la conquista, da parte dell’Ungheria, della competizione continentale ottenuta ai playoff contro la Norvegia. Proprio in virtù di quel quasi mezzo secolo per un calcio finito ai confini dell’impero, la promozione in Francia ha destato sorpresa tra critici ed addetti ai lavori.

Non per chi quel calcio lo conosce e soprattutto lo vive da quattro anni. Da Marco Rossi, allenatore della mitica Honved e con un passato sulla panchina della Pro Patria. Non secoli fa, ma solo sette anni fa che sono paragonabili a decenni. Rossi è appunto da quattro anni sulla panchina della squadra nella quale militava un certo Puskas che, con altri indimenticati protagonisti, componeva una fantastica Ungheria. Distrutta in quegli anni dall’invasione sovietica del ’56

e dal successivo regime. Sono passati sessant’anni ed il calcio danubiano si riaffaccia sul palcoscenico internazionale; uno dei protagonisti di questa crescita è un allenatore italiano che si è anche seduto sulla panchina biancoblù. Dice Rossi:«Ho letto che vi è stata sorpresa per la qualificazione dell’Ungheria e qui se l’aspettavano senza gli spareggi. Per quanto mi riguarda, la ritengo uno sviluppo naturale di un movimentazione e di un’attenzione verso il calcio che qui in Ungheria è stata programmata gli anni scorsi». E la spinta per il trainer rossonero arriva dalla politica ed in particolare dal presidente Orban, colui che l’estate scorsa si guadagnò le prime pagine per aver dato inizio alla costruzione di un muro ai confini con la Serbia per impedire l’ingresso dei profughi.

Dentro i confini, spinto dalla ricerca di una rinnovata identità magiara, si è votato alla dea Eupalla con finanziamenti statali che «prevedono la costruzione di nuovi stadi ed anche di strutture che possano consentire di lavorare bene coi settori giovanili. Come Honved fra un anno e mezzo potremo di disporre di nove campi di allenamento, fra sintetici ed in erba e poi si comincerà col nuovo stadio. Questo ti permette di programmare, lavorare sul territorio e noi come Honved, che non abbiamo i mezzi del Videoton o del Ferencvaros, diamo già tre giovani alla Under 21 e come squadra siamo la sedicesima più giovane di tutta Europa. Ho avuto modo d’incontrare Orban tre o quattro volte – rivela Rossi – è una persona che ha entusiasmo e capisce di calcio. Ha una sua squadra che è l’Accademia Puskas».

È pur sempre un campionato di sole dodici squadre la serie A magiara, «ma volutamente di queste dimensioni dalla federazione per poter elevare la qualità del calcio ungherese». E se poi in patria tornano a giocare dei monumenti come il portiere della nazionale Kiraly, «fanno da traino e poi è un personaggio; d’altronde il suo cognome in ungherese vuole dire re…». Okay le prospettive o il fascino della costruzione di qualcosa di nuovo, le radici, però, non si dimenticano e dal cuore scappano via domande che palesano ansia e partecipazione:«Ma la Pro Patria cosa sta combinando? – chiede Marco Rossi – ma faranno qualcosa a gennaio per mettere a posto la squadra così da togliersi dall’ultimo posto? Mi sembra che la classifica non sia proprio compromessa e se aggancia i playout dopo aver sofferto dell’ultimo posto puoi farcela».